Escavatore Esso ridusse la Dea Madre in 936 frammenti

Megara Hyblaea, la colonia greca con la necropoli divorata dalla raffineria Esso e dal cementificio Buzzi Unicem

 

La Civetta di Minerva, 30 marzo 2018

Augusta. Soffocata a nord dalla raffineria Esso e a sud dal cementificio di Augusta, l’area archeologica di Megara Hyblaea ha il destino di una colonia greca alla quale sono state distrutte, negli ultimi 70 anni, le sue necropoli. Fondata da coloni megaresi nell’ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. sul pianoro, affacciato sul porto di Augusta, fra i fiumi Cantera a nord e S. Cusmano a sud, Megara Hyblaea oggi possiamo visitarla solo nel suo abitato ma non alle necropoli, finite impietosamente sotto le ruspe e il cemento delle vicine industrie.

Gli scavi archeologici dell’abitato, condotti con criteri scientifici, hanno avuto inizio nel 1948, (missione dell’Ecole Francaise di Roma), e sono tuttora in corso. I francesi erano interessati allo studio dell’urbanistica delle città coloniali e Megara Hyblaea, per la quale a differenza di Siracusa non si erano avute sovrapposizioni della città moderna, rappresentava un caso ottimale.

In quegli anni nella stessa area iniziarono a impiantarsi le industrie e la Soprintendenza, allora diretta da Luigi Bernabò Brea, ebbe grandi difficoltà per riuscire a salvaguardare il sito. Purtroppo, non si riuscirono a salvare le necropoli.

Fra il 1889 e il 1892 l’archeologo Paolo Orsi aveva scavato la necropoli occidentale, mettendo in luce più di un migliaio di sepolture datate dal VII al VI sec. a.C.

Ma negli anni fra il 1951 e il 1953, sulla necropoli settentrionale iniziarono i lavori per la costruzione della raffineria RASIOM (oggi ESSO), costruita con i rottami dismessi e obsoleti di una raffineria proveniente dal Texas. La Soprintendenza cercò di salvare il salvabile, impegnata in una lotta impari contro direttori dei lavori che fecero di tutto per far sparire le tracce di quello che veniva alla luce. Le ruspe della Esso non si fermarono neanche quando portarono alla luce la Kuorotrophos, la statua della Dea madre che allatta due gemelli (VI sec. a.C.): per timore che la scoperta potesse ostacolare l’avanzamento dei lavori, fu distrutta con il martello pneumatico in 936 frammenti. Gli archeologi della Soprintendenza, scoperto l’infame gesto, raccolsero ogni pezzo e riassemblarono la statua, esponendola da allora al museo archeologico di Siracusa.

Stessa sorte toccò alla necropoli meridionale, dove negli stessi anni venne impiantata la Cementeria (oggi Buzzi). Intanto intorno alla metà degli anni ’50 la Soprintendenza impose i vincoli, convalidati poi con DPRS negli anni ’60, ma questo non impedì alla Cementeria di continuare a ampliare ulteriormente i propri impianti negli anni ’70.

La necropoli sud si estendeva anche lungo il mare, c’erano tombe sulla scogliera, dal mare alla zona della stazione di Megara Gennalena, e sotto tutta la Cementeria. Dai pressi della stazione proviene il famoso kuoros di Megara Hyblaea, che era posto a segnacolo di una tomba. Negli anni ’70 (fra 1970 e 1974) i proprietari della Cementeria misero a disposizione delle somme per effettuare lo scavo della necropoli (che tuttavia non fu condotto integralmente su tutta l’area, per cui parte della necropoli giace ancora sotto l’impianto!). Non era un regalo né un atto disinteressato: all’epoca era già vigente il vincolo ma la Soprintendenza accettò il compromesso (soprintendente già Voza? O la Pelagatti?) e gli scavi furono condotti sempre dai francesi. Fu così che i sarcofagi e le grandi tombe a blocchi furono smontati e trasportati presso le mura arcaiche (all’ingresso del sito) dove ancora oggi si trovano. Pare che provengano da Megara Hyblaea anche alcuni sarcofagi e tombe riposizionate nell’area dell’anfiteatro romano di Siracusa (quindi totalmente decontestualizzate). Indubbiamente molto è andato distrutto e i dati persi per sempre. Che ne è stato delle tombe a incinerazione e di quelle semplicemente dentro terra? Tutto è oggi coperto dagli impianti (gruppi di tombe si trovavano sotto l’attuale deposito del carbone e sotto il piazzale del cementificio Buzzi), inglobato, fagocitato, sottratto per sempre allo studio e alla pubblica fruizione.

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