Unesco: Aumenta l’abuso di leggi e querele per limitare libertà espressione

Una ricerca dell’UNESCO dice: siamo sempre meno liberi di esprimerci

Invece di adeguare le leggi agli standard richiesti dalle organizzazioni internazionali, si fanno passi indietro, si strumentalizza la giustizia per eliminare le voci critiche, si permettono procedure punitive.

OSSIGENO – 9 dicembre 2022 – L’uso scorretto del sistema giudiziario è il principale strumento con cui negli ultimi anni è stato compressa in tutto il mondo la libertà di espressione, una libertà fondamentale perché a essa sono connessi la libertà di stampa e di parola, il giornalismo e la possibilità di difendersi dalle accuse e dalle più severe punizioni per diffamazione, quelle che hanno un ‘effetto raggelante’ sull’attività giornalistica. Lo afferma uno studio dell’UNESCO reso noto oggi 9 dicembre 2022 e pubblicato in italiano da Ossigeno per l’Informazione (vedi www.ossigeno.info )

La seconda causa di questa preoccupante deriva, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, è la proliferazione di leggi che non tengono conto, come e quanto dovrebbero, di tutelare del diritto di informazione, o contraddicono questo obbligo, ad esempio configurando la diffamazione come un reato e punendolo addirittura con il carcere. Entrambe le cose, ricorda l’UNESCO, limitano fortemente l’autonomia dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani.

Leggi siffatte, osserva l’UNESCO, hanno proliferato in questi ultimi anni in 44 paesi del mondo. Laa ricerca ne conta 57. Una conseguenza di tutto ciò è il permanere di leggi punitive verso chi esprime legittime critiche al potere e ai potenti. Un’altra conseguenza è il diffondersi – in numero sempre maggiore e in ogni paese – delle cosiddette cause e querele temerarie per diffamazione a mezzo stampa e per altri reati utilizzate come “schiaffi” (SLAPP) a chi pubblica notizie scomode, schiaffi dati per scoraggiare chi lo fa. La terza conseguenza è la limitazione del dibattito pubblico privandole delle voci e delle opinioni critiche.

il bilancio degli ultimi dieci anni, conclude la ricerca dell’UNESCO, non è soddisfacente, ma il terreno perduto si può ancora recuperare. Come? Governi, giornali, giornalisti, editori, difensori dei diritti devono dare più ascolto alle raccomandazioni loro rivolte dalle organizzazioni internazionali richiamate in questo studio, facendo la loro parte, innanzitutto depenalizzando la diffamazione.

LEGGI il documento dell’Unesco, le sintesi e i commenti su www.ossigeno.info

UNESCO: perché la libertà d’espressione è sempre più debole

Si abusa dalla giustizia, si mantengono leggi punitive e se ne fanno di nuove, si lasciano proliferare le cause e le querele temerarie e nascono nuovi espedienti come il turismo giudiziario

OSSIGENO 9 dicembre 2022 – La libertà di espressione non gode buona salute e negli ultimi anni ha perso terreno pressoché ovunque. Non è una sensazione. È la diagnosi contenuta in un autorevole studio dell’UNESCO reso noto il 9 dicembre 2022 e tradotto in italiano da Ossigeno per l’Informazione (LEGGI su www.ossigeno.info ). Con uno sguardo dall’alto, il documento dell’Agenzia delle Nazioni Unite descrive i problemi generali e quelli di ciascuna parte del mondo, indica i deludenti risultati delle battaglie dell’ultimo decennio e raccomanda ai governi dei singoli paesi di fare meglio la loro parte con alcuni interventi concreti.

Come si manifestano i problemi? Innanzitutto con il sempre più ampio “uso scorretto del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione” ovvero con quelle azioni legali che in Italia si chiamano querele o cause temerarie e in inglese si chiamano schiaffi (SLAPP). In secondo luogo,  con le nuove leggi prodotte nei vari paesi hanno fatto fare passi indietro a questa fondamentale libertà. Dal 2016 a oggi, dice l’UNESCO, in 44 paesi 57 leggi e regolamenti nuovi o modificati contengono un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate tali da mettere in pericolo la libertà di espressione ‘online’ e la libertà dei media. Inoltre stanno aumentando le querele, le cause civili per diffamazione e le “azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica” (SLAPP) non soltanto in Italia ma nel mondo.

Purtroppo, dieci anni di campagne volte a depenalizzare la diffamazione (cioè a regolarla con il codice civile e a punirla senza il carcere) si sono conclusi con un sostanziale fallimento o, come dice l’UNESCO, con “una battuta d’arresto”. Nell’80% dei Paesi del mondo la diffamazione è ancora regolata (come in Italia) principalmente dalla legge penale e in molti paesi i colpevoli sono passibili (come in Italia) della pena detentiva. Eppure è sempre più condivisa, dice l’UNESCO citando numerosi autorevoli pareri, l’opinione che giudicare le accuse di diffamazione a mezzo stampa come un reato abbia un effetto raggelante sulla libertà di informazione, e che il carcere sia una punizione sproporzionata per queste violazioni. Eppure dieci anni fa la depenalizzazione si stava diffondendo anche all’interno di Paesi che poi invece hanno mantenuto o addirittura reintrodotto la morsa della via penale. Che cosa è accaduto?

In questi anni, diversi Paesi hanno imboccato la strada opposta: hanno reintrodotto o inasprito le norme sulla diffamazione semplice e a mezzo stampa e sull’ingiuria, hanno promulgato nuove leggi per rafforzare la sicurezza informatica e a combattere le “notizie false” e l’incitamento all’odio, hanno visto aumentare le cause civili per diffamazione, di solito preferibili, ma spesso tali da “turbare” la libertà di espressione e il lavoro dei giornali e dei giornalisti, per le richieste di risarcimento sproporzionate e i costi legali proibitivi.

Sulla scena sono apparse nuove forme di compressione del diritto d’espressione: il “forum shopping” che, ricorda Unesco, si riferisce alla pratica di selezionare il tribunale in cui intentare un’azione sulla base della prospettiva dell’esito più favorevole o di mettere in difficoltà l’accusato; le SLAPP basate sulle accuse di diffamazione usate spesso per spingere i giornalisti a non pubblicare determinate notizie contenuti e per scoraggiare i loro colleghi.

QUALCHE NUMERO – Nell’Europa centrale e orientale è aumentato il ricorso alla legge penale per punire la diffamazione, che è un reato in 15 dei 25 stati della regione, e nella maggior parte di essi prevede sanzioni detentive. Dieci paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione e l’insulto e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.

RACCOMANDAZIONI – Unesco raccomanda agli Stati che non l’hanno già fatto di abrogare le leggi penali sulla diffamazione e sostituirle con un’appropriata legislazione civile in linea con gli standard internazionali. Le organizzazioni della società civile e gli operatori dei media sono invitati a impegnarsi nelle campagne di difesa e sensibilizzazione volte a mobilitare i cittadini e a garantire che le sentenze internazionali e regionali siano pienamente attuate a livello nazionale. Allo stesso tempo, il supporto e la pubblicazione di casi di violazione particolarmente significativi può aiutare a spingere verso modifiche legislative e l’abolizione del reato di diffamazione. Anche il supporto legale fornito ai giornalisti è fondamentale per incoraggiare chi è preso di mira a proseguire nel suo lavoro e può portare a legali e politici concreti e positivi.

Lo studio dell’UNESCO è stato pubblicato il 9 dicembre 2022 nella collana “World Trends Report on Freedom of Expression and Media Development”. La versione italiana, a cura di Ossigeno per l’Informazione, è a questo LINK ed è accompagnata dai commenti di Giuseppe Federico Mennella, segretario generale di Ossigeno, dell’avv. Andrea Di Pietro, coordinatore dell’Ufficio di assistenza Legale Gratuita di Ossigeno, e di Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno

UNESCO: in 5 anni 57 nuove leggi che minano libertà di stampa

OSSIGENO 9 dicembre 2022 – La ricerca UNESCO sull’ “abuso” del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione (vedi www.ossigeno.info ) mostra un aumento dei processi penali e civili per diffamazione  e delle azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica (SLAPP).

  • 160 paesi, ovvero l’80% dei paesi del mondo, continuano a perseguire la diffamazione come un reato.
  • negli ultimi cinque anni sono state approvate nuove leggi per combattere la cattiva informazione e la disinformazione, la criminalità informatica o l’incitamento all’odio , ma esse hanno conseguenze potenzialmente disastrose per la libertà dei media.
  • Diversi paesi hanno inasprito o reintrodotto disposizioni in materia di diffamazione, diffamazione a mezzo stampa e insulto, stabilendo nuove leggi per la sicurezza informatica, per fronteggiare le “notizie false” e l’incitamento all’odio.
  • Almeno 57 leggi e regolamenti adottati o modificati dal 2016 in 44 paesi contengono un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate, che mettono in pericolo la libertà di espressione online e la libertà dei media.

I dati che sintetizzano la situazione:

  • La diffamazione è ancora un reato in 39 dei 47 paesi africani.
  • In Asia e Pacifico, 38 Stati su 44 mantengono il reato di diffamazione, sei l’hanno abrogato e uno ne ha proposto l’abrogazione parziale.
  • Nell’Europa centrale e orientale, c’è stato un aumento dell’uso delle leggi penali sulla diffamazione, che sono in vigore in 15 dei 25 stati della regione, e la maggior parte di essi include la possibilità di sanzioni detentive. Dieci paesi hanno abolito tutte le disposizioni generali contro la diffamazione a mezzo stampa e l’ingiuria e altri quattro hanno attuato una parziale depenalizzazione.
  • I reati di diffamazione persistono in 29 dei 33 stati dell’America Latina e dei Caraibi e continuano ad essere usati come armi contro giornalisti e blogger.
  • In Europa occidentale e Nord America, la diffamazione penale rimane negli statuti di 20 dei 25 stati, la maggior parte mantenendo le sanzioni detentive. Tra il 2003 e il 2018, cinque paesi hanno abolito le leggi penali sulla diffamazione a mezzo stampa e l’ingiuria e un altro le ha parzialmente abrogate.

Le SLAPP e il “Turismo giudiziario” (Forum Shopping) crescono

  • Le azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica (SLAPP) da parte di attori potenti che vogliono mettere a tacere le voci critiche e indebolire il controllo hanno raccolto un’attenzione significativa da parte di avvocati e organismi internazionali, in particolare in Europa.
  • I nuovi dati dell’UNESCO evidenziano anche l’aumento di pratiche abusive come il “forum shopping” che si riferisce alla pratica di selezionare il tribunale a cui intentare un’azione sulla base della prospettiva dell’esito più favorevole, anche quando non c’è o c’è solo una tenue connessione tra le questioni legali e la giurisdizione.

Le leggi penali sulla diffamazione devono essere abrogate

In questo scenario, si raccomanda quanto segue

  • Gli Stati dovrebbero abrogare le leggi penali sulla diffamazione e sostituirle con un’appropriata legislazione civile sulla diffamazione in linea con gli standard internazionali.
  • Le organizzazioni della società civile e gli attori dei media devono anche impegnarsi in campagne di convinzione e sensibilizzazione per mobilitare il pubblico e garantire che le sentenze internazionali e regionali siano pienamente attuate a livello nazionale.
  • Allo stesso tempo, possono avere un impatto significativo sulla spinta per l’abolizione della diffamazione criminale e sul contrasto ai passi indietro.
  • Infine, anche le cause civili e penali strategiche per fare capire cosa accade o e il supporto legale ai  giornalisti sono fondamentali per incoraggiarli a continuare il loro lavoro e possono tradursi in cambiamenti giuridici e politici concreti e positivi. ASP

Ossigeno e la ricerca UNESCO sulle querele intimidatorie

Il nuovo dossier dell’Agenzia ONU mostra che anche a livello internazionale sono emerse le preoccupanti tendenze riscontrate in Italia

OSSIGENO  9 dicembre 2022 – di Alberto Spampinato – “L’uso improprio del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione. Il punto sulla depenalizzazione della diffamazione” (vedi su www.ossigeno.info ) è il titolo del nuovo rapporto pubblicato oggi dall’UNESCO sulle preoccupanti tendenze che si manifestano nel mondo in materia di diffamazione a mezzo stampa e di lotta alle querele temerarie (in inglese SLAPP) utilizzate per mettere a tacere le voci critiche.

Accogliendo un invito dell’UNESCO, Ossigeno ha tradotto in Italiano questo interessante rapporto per renderlo più agevolmente accessibile e si è impegnato a diffonderlo fra coloro che seguono questa materia.

È un documento autorevole. Fra l’altro, fa sapere che i problemi italiani documentati da tempo da Ossigeno, quelli che hanno conferito all’Italia il titolo di paese europeo con più giornalisti minacciati, in realtà si manifestano in molti altri paesi, anche se non sono documentati pubblicamente come da noi. Anche altri aspetti fanno pensare all’Italia. Ad esempio il nuovo appello alla depenalizzazione della diffamazione, considerata da Unesco il primo passo da fare e invece per le forze politiche italiane è il male assoluto da evitare, un tabù. Un fatto su cui riflettere.

Ossigeno raccomanda la lettura di questo documento dell’Unesco. È bene sapere come il resto del mondo vive e fronteggia problemi che sono anche nostri, che riguardano essenzialmente la necessità di tutelare il dibattito pubblico, la libertà di espressione e di stampa e l’attività giornalistica insieme al diritto di difendere la reputazione delle persone e di altri soggetti. È bene conoscere gli standard e gli obiettivi indicati dalle agenzie internazionali e tenerne conto quando si fanno nuove leggi.

Ossigeno accompagna la pubblicazione della ricerca con i commenti di alcuni dirigenti del suo osservatorio ed esorta ad aprire il dibattito su questi temi. Inserendo questi temi in un orizzonte più largo potremmo portare le proposte in campo su un terreno più concludente e risolvere il grande problema italiano della lotta alle querele e alle liti temerarie e dell’adeguamento del sistema normativo e sanzionatorio italiano ai principi indicati dalle grandi istituzioni internazionali,  eliminando i pesanti condizionamenti che pregiudicano la piena libertà di informazione.

In estrema sintesi, i nuovi dati dell’UNESCO mostrano che

  • nell’80% dei paesi la diffamazione è considerata un reato e che la tendenza alla depenalizzazione sta rallentando.
  • negli ultimi anni diversi stati hanno inasprito o reintrodotto le norme in materia di diffamazione scritta e orale e di ingiuria, hanno introdotto nuove leggi che intendono affrontare la sicurezza informatica, le “notizie false” e l’incitamento all’odio.
  • almeno 57 leggi e regolamenti adottati o modificati dal 2016 in poi in 44 paesi contengono un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate, mettendo così in pericolo la libertà di espressione online e la libertà dei media. I dati mostrano anche la ripartizione nelle diverse aree geografiche.
  • il tema è collegato alla lotta alla corruzione e non a caso l’UNESCO ha scelto di pubblicare il suo dossier il 9 dicembre, Giornata internazionale contro la corruzione, a causa del legame diretto che spesso esiste tra la scoperta della corruzione e il rischio di diffamazione, come si è visto sulla scia dei Panama Papers e altre volte.

Alberto Spampinato è il direttore dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione e il presidente dell’omonima associazione senza fini di lucro

Ricerca UNESCO mostra la distanza dell’Italia dagli standard internazionali

OSSIGENO 9 dicembre 2022 – di Giuseppe F.  Mennella – La lettura dei nuovi dati dell’UNESCO (LINK al dossier) rende di un’evidenza incontestabile la distanza tra l’apparato normativo italiano in materia di diritto all’informazione e gli standard internazionali chiesti dagli organismi internazionali in materia di diffamazione sia in campo penale sia in campo civile.

Sono più di vent’anni che il Parlamento italiano discute di abolizione delle pene detentive a carico dei giornalisti. Senza risultato. Cinque legislature non sono bastate a mettere mano al Codice penale fascista e alla legge sulla stampa. Su quest’ultima –  in vigore dal febbraio dal 1948 –è intervenuta nel 2021 la sentenza della Consulta che ha stabilito l’”illegittimità costituzionale” dell’articolo 13 della legge sulla stampa. La norma per il reato di diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’attribuzione di fatto determinato prevedeva la reclusione da uno a sei anni più – cioè in aggiunta – la multa fino a 50mila euro.  La stessa sentenza ha invece “salvato” l’articolo 595 del Codice penale che prevede per la diffamazione a mezzo stampa una pena detentiva da sei mesi a tre anni o – in alternativa – la multa fino a 50mila euro. (limite massimo non indicato dalla norma ma dall’articolo 24 del Codice penale che fissa appunto in 50mila euro il massimo della multa comminabile).

Dinanzi allo stallo politico-parlamentare è dovuta intervenire la Corte costituzionale che con la sentenza del 2021 ha sollecitato il Parlamento a intervenire anche per aggiornare la normativa sulla stampa al mondo nuovo.

Poi, dal 2020 funzionano benissimo alcuni alibi: l’emergenza pandemia, la guerra, la crisi economica, la crisi energetica, le quali vengono prima di ogni altra cosa ed è dunque comprensibile e giustificato il fatto che non venga garantito il pieno diritto dei cittadini a essere informati. Perché di questo parliamo quando discutiamo di libertà di stampa se è vero – com’è vero – che il titolare del diritto all’informazione è il cittadino.

Che cosa accadrà in questa legislatura e di che cosa avremmo bisogno? Quali misure dovremmo adottare per soddisfare le richieste dell’UNESCO?

Accadrà che verranno ripresentati i disegni di legge delle ultime legislature. Anzi, almeno due proposte sono state già presentate: una al Senato (primo firmatario Walter Verini del PD) e l’altra alla Camera (primo firmatario Pietro Pittalis di Forza Italia). Di quest’ultima proposta non è ancora disponibile il testo. Abbiamo invece quella del senatore Verini. Può risultare interessante analizzarla, anche se in modo sintetico, perché l’articolato ripercorre e riproduce le stesse scelte operate nei disegni di legge delle passate legislature intorno ai quali si era coagulata la convergenza di forze politiche di maggioranza e opposizione. Insomma, qual è l’orientamento, quale la direzione di marcia. Cosa c’è e che cosa manca?

In sintesi:

  • L’ambito di applicazione della legge sulla stampa viene esteso alle testate telematiche registrate.
  • La reclusione prevista dal Codice penale viene sostituita dalla multa fino a 10mila euro. Se il reato di diffamazione a mezzo stampa è commesso con attribuzione di fatto determinato la multa è di 10mila euro nel suo minimo e di 50mila nel suo massimo. Si tratta di cifre altissime se rapportate all’editoria italiana nel suo complesso (che è molto di più dei due o tre grandi gruppi). Sono somme in grado di far chiudere testate medio-piccole. Per questo qualcuno dice “meglio la galera che queste multe”. La verità è che si continua a tenere in poco o alcun conto il principio giuridico sul quale insistono la Corte europea dei diritti umani e l’UNESCO: le pene e le sanzioni pecuniarie devono essere proporzionali alla condizione economia del giornalista.
  • Su questo punto delle pene per la diffamazione si deve rilevare un fatto curioso: le pene proposte sono presentate come sostitutive di quelle previste dall’articolo 13 della legge sulla stampa, ma la proposta invece non abroga l’articolo 595 del Codice penale che stabilisce le pene detentive per la diffamazione, tutti i tipi di diffamazione, anche quella semplice e non a mezzo stampa. Paradossale: si cancella la galera da un articolo di legge già dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (inesistente dal 13 luglio 2021) e la si mantiene invece nel Codice penale. Si profila un pasticcio: si toglierebbe il carcere per la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa, ma lo si lascerebbe per la diffamazione semplice.
  • Alla condanna consegue l’obbligo della pubblicazione della sentenza.
  • In caso di recidiva viene inflitta la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista da uno a sei mesi. Per ovvi motivi, da questa pena è escluso il direttore responsabile.
  • Non viene abrogato l’articolo 596 del Codice penale: resta dunque il divieto per i giornalisti di provare in giudizio la verità dei fatti narrati.
  • Quanto alle liti temerarie dirette a guadagnare sostanziosi risarcimenti dei danni da diffamazione, la proposta prevede per chi ha agito in giudizio contro il giornalista con dolo o colpa grave la condanna al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma non superiore a trentamila euro. Poca cosa per chi da posizione di potere muove una causa temeraria e intimidatoria contro i giornalisti. Molto più efficace per l’effetto di deterrenza sarebbe una norma che condannasse il soggetto a versare al giornalista una somma pari ad almeno la metà di quanto richiesto per danni da diffamazione.
  • Si propone la modifica dell’articolo della legge sulla stampa relativa alla rettifica. Modifica peggiorativa, perché verrebbe introdotto l’obbligo di pubblicazione della rettifica senza titolo, senza commento e senza risposta. Non pubblicare fa correre il rischio di una sanzione pecuniaria fino a 16mila euro. Pubblicare la rettifica non si traduce nell’improcedibilità della querela o della lite civile. In sostanza, la testata subisce l’obbligo di rettifica senza nemmeno avere la possibilità di replicare e si guadagna comunque ed egualmente la chiamata in giudizio. Pubblicare spontaneamente una rettifica può è essere causa di non punibilità. E ciò sarebbe una novità positiva.

Il disegno di legge – al quale certamente se ne aggiungeranno altri di egual tenore – presenta lacune vistose. L’ipotesi della depenalizzazione del reato di diffamazione non è presa in considerazione nemmeno per motivare l’esclusione della sua adozione.  Almeno altre due lacune devono essere segnalate:

  • Non viene introdotto il reato di ostacolo all’informazione. Proposta già avanzata, e da mesi, da Ossigeno per l’Informazione e dall’Associazione Stampa romana.
  • Il reato di diffamazione a mezzo stampa resta ancora e sempre doloso e si continua a non voler introdurre la distinzione tra macchina del fango e reato commesso per errore, cioè per colpa. Insomma, il giornalista – al contrario di tutti gli altri professionisti – non può sbagliare per negligenza, imperizia o imprudenza. Ciò comporta una conseguenza di non poco rilievo: l’impossibilità per i giornali e i giornalisti di assicurarsi contro i risarcimenti per danni da diffamazione. Ciò che è consentito a tutti gli altri professionisti è vietato ai giornalisti. GFM

Il giornalista Giuseppe F. Mennella è segretario generale di Ossigeno e direttore del mensile LiberaEtà

Ricerca UNESCO. Facciamo il punto anche sulle querele temerarie in Italia

Se ne fa un uso indiscriminato – Il quadro giuridico che ha consentito l’abuso del diritto di querela

OSSIGENO 9 dicembre 2022 – di Andrea Di Pietro – I nuovi dati e le considerazioni dell’ UNESCO, diffusi in collaborazione con Ossigeno per l’Informazione, denunciano l’incremento a livello internazionale dei casi in cui si riscontra un’eccessiva e indebita pressione giudiziaria sui giornalisti, un aumento del ricorso alle pene detentive e la mancata depenalizzazione del reato di diffamazione, almeno nei casi meno gravi, in cui il giornalista ha agito in buona fede ed è caduto in errore senza volontà di offendere la reputazione dei soggetti coinvolti.

L’occasione è importante anche per fare il punto sulla situazione dell’uso indiscriminato delle querele temerarie in Italia. Il quadro giuridico italiano, che ha consentito l’abuso del diritto di querela per diffamazione, non è mutato come avrebbe dovuto negli ultimi anni.

Più volte il Parlamento italiano è stato vicino all’approvazione di una riforma della legge sulla Stampa, ma ogni volta si è persa l’occasione per un’operazione di ammodernamento giuridico che ormai non è più procrastinabile, dato che in Italia il giornalismo è ancora regolato da una legge del del 1948, la numero 47.

Alla mancanza di adeguamento delle norme segue poi una profonda crisi dell’editoria, del mercato delle notizie e, conseguentemente, della figura del giornalista, della sua etica e della sua indipendenza professionale.

L’unica significativa novità in materia di miglioramento della condizione di disagio economico e giuridico del giornalista è rappresentata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha eliminato – purtroppo solo parzialmente – la pena detentiva per il reato di diffamazione, reato normalmente contestato ai giornalisti. Solo parzialmente perchè ancora oggi il giudice può, nei casi considerati più gravi, “scegliere” tra pena detentiva e pena pecuniaria. Il miglioramento è rappresentato dal fatto che prima dell’intervento della Consulta il giudice non aveva scelta, era costretto ad applicare la pena del carcere per la diffamazione a mezzo stampa e non sono mancati in passato numerosi casi di giornalisti che hanno varcato la soglia degli Istituti di pena.

Ad ogni modo, la parte del leone, sul terreno delle vessazioni che subisce il giornalista italiano nell’esercizio della professione, non è tanto la minaccia della pena, ma quanto la minaccia del processo, che, come insegnava il grande Giurista Carnelutti, è già una pena in sé, tra spese legali, ansie di non farcela a sostenere il peso del processo, la condizione di isolamento spesso inflitta dagli stessi colleghi, dal direttore, o dall’editore che in taluni casi ha ritirato la disponibilità a manlevare il giornalista o che è fallito durante la causa. Sono innumerevoli le angosce che vive l’operatore dell’informazione in questo momento storico in Italia.

Cosa fare quindi contro le querele temerarie? Quale rimedio è possibile?

Innanzitutto occorre intervenire sulla durata e sui costi del processo. La sentenza che deve regolare una disputa tra il giornalista e il  suo accusatore dovrà essere tempestiva. Anche la Commissione Europea ritiene che la risposta dei giudici ad ogni causa che abbia le caratteristiche della temerarietà, che sia in malafede e che miri a zittire e intimidire il cronista di turno, debba essere rapida, per non tenere troppo tempo il giornalista sotto scacco.

Perché una democrazia sia sana e prospera è necessario che le persone possano accedere attivamente alle informazioni di pubblico interesse: questo principio emerge dall’ultimo testo del progetto di Direttiva europea Anti-SLAPP, che dovrà passare al vaglio del Consiglio Europeo e dell’Europarlamento.

Si chiami “rigetto anticipato” o “archiviazione tempestiva”, la richiesta di Bruxelles ai 27 Paesi membri è quella di muoversi in fretta ogni volta che ad esempio una causa civile per risarcimento danni o una querela per diffamazione in sede penale arrivino all’esame di un giudice: il magistrato è invitato a valutarne – da subito – la pretestuosità e la rilevanza sotto il profilo della partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Non perché questa valutazione non avvenga, ma perché di solito avviene troppo tardi. Nel sistema giuridico italiano ad esempio esiste già la definizione di lite temeraria, e il codice di procedura civile prevede già che si possano accertare e sanzionare comportamenti in malafede o per colpa grave; ma tale accertamento può avvenire solo al momento della sentenza. E quando siano in gioco informazioni di interesse pubblico, notizie rilevanti per la salute, per la democrazia, sulla corruzione o sull’ambiente, aspettare una sentenza in processi che in media durano sei anni, implica un vuoto informativo, un oscuramento del diritto di sapere, che si traduce in un prezzo troppo alto per la collettività, per l’equilibrio democratico.

Nei limiti delle competenze dell’Unione, credo che queste misure siano un importante segnale dato ai governi e ai parlamenti nazionali: finalmente si chiede agli stati membri di fare qualcosa, e ai giudici di tener conto dell’interesse pubblico e della libertà di espressione. Ogni volta che ci si occupa di SLAPP, di cause temerarie che interferiscono con il diritto dei cittadini a partecipare al dibattito democratico, di querele che ostacolano la presa di coscienza dell’opinione pubblica su questioni ambientali, di salute, di corruzione, si dovrebbe infatti tener sempre in considerazione la mole di informazioni andate perdute, taciute, sepolte negli hard disk di giornalisti e attivisti intimoriti, minacciati, ricattati, tenuti in sospeso. Nel limbo, nell’attesa, ecco dove inizia l’agonia della partecipazione democratica.

L’Avv. Andrea Di Pietro è il coordinatore dell’Ufficio Assistenza Legale Gratuita di Ossigeno

LEGGI ANCHE ALTRE INFORMAZIONI SU www.ossigeno.it

(fonte: Ossigeno per l’Informazione)

Da leggere

Paola Liotta alla Libreria NeaPolis venerdì 19 aprile alle 18 con VERDE TWANG e CASA MANET

  Twang. Nome esotivo, evocativo. Che ci rimanda alla Thailandia, a terre in cui convivono …

Commenti recenti