Nuove rivelazioni “sismiche” da Piero Amara in Gran Tour nelle carceri italiane

In un articolo dell’Espresso in questi giorni in edicola (che riportiamo integralmente in calce) si torna a parlare degli inesausti rapporti tra Piero Amara e i giudici, della sua capacità quasi incredibile – un caso da studio psico-socio-antropologico per la sua inimmaginabile forza e insieme facilità pervasiva – di stringere “amicizie”, meglio “connivenze”, con i magistrati di ogni ordine e grado (ovviamente tra quelli che non hanno un alto senso della propria funzione e del proprio ruolo nella società), di qualsiasi distretto giudiziario; della sua arte “ammaliatrice” di piegarli, tutti, alle proprie necessità, di asservirli ai suoi scopi, per risultare vittorioso nelle cause di suo interesse o per mettere fuori gioco gli avversari del momento.

Nel caso raccontato dai giornalisti Enrico Bellavia e Antonio Fraschilla si tratta degli stretti legami dell’avvocato con i magistrati “sull’asse Siracusa-Catania”. “Meglio avere a che fare con il clan Santapaola, almeno paga ed è tranquillo” il commento di Amara – “alludendo a un sistema di corruzioni e ricatti molto più avviluppato di quello mafioso” – nell’interrogatorio cui è stato sottoposto a Siracusa il 4 aprile scorso, prima di essere nuovamente arrestato (ma già rimesso in libertà) a Potenza – il gran tour delle carceri italiane! –, nel processo per bancarotta della Sai8, la società gestore del servizio idrico a Siracusa dal 2008 al 2013, un crac da 74 milioni di euro e parcelle milionarie per Amara e il collega Attilio Toscano, figlio di Giuseppe, ai tempi procuratore aggiunto a Catania.

Dalle carte processuali di Siracusa questa la distrazione di fondi pari a € 9.174.807,79 che avrebbe contribuito a determinare il crac della Sai8

Pagamenti di servizi di progettazione e consulenze legali a favore di:

SACCECAV DEPURAZIONI SACEDE S.P.A socio privato della SAI 8 per € 5.975.931,92 per l’anno 2011; DIANECO S.R.L. il cui capitale era detenuto interamente da Casadei Monica e Ferraglio Marzio, per gli anni dal 2008 al 2011 per € 201.067,67;  AVV. PIETRO AMARA tra agosto 2011 e dicembre 2012 parcelle per € 1.216.810,66; AVV. ATTILIO TOSCANO tra maggio 2011 e dicembre 2012 parcelle per € 1.009.267,54; P&G CORPORATE S.R.L. (società riconducibile all’avv. Amara) tra giugno 2011 e maggio 2012 pagamenti per € 344.900,00; TSL CONSULTING S.R.L. (società riconducibile all’avv. Toscano) tra maggio e dicembre 2011 pagamenti per € 384.530,00; STEFI S.R.L. tra luglio 2011 e giugno 201 pagamenti per € 42.300,00.

Il legale, tramite i buoni uffici del procuratore Tinebra, avrebbe infatti ottenuto che la Procura Generale di Catania avocasse le inchieste che lo interessavano – scrive l’Espresso – Una cortesia su cui ora dovrà lavorare la procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia”. Per competenza territoriale spetta infatti a Messina indagare sui magistrati del nostro distretto giudiziario. E speriamo che, finalmente, quasi fuori tempo massimo, si accertino tutte le responsabilità degli attori di una farsa tragica.

Un’avocazione che ci riguarda direttamente: il sabato 17 dicembre 2011, all’indomani del nostro ultimo articolo di denuncia, io e il direttore Franco Oddo, insieme all’onorevole Gino Foti, avevamo infatti scoperto “grazie” a Pino Guastella, il “giornalista” sul libro paga di Amara, di essere stati denunciati da quattro anonimi imprenditori siracusani di estorsione, consumata e/o tentata: un titolo cubitale, infamante, sul suo Diario. Non ripercorriamo l’intera squallidissima vicenda ma alla fine l’unico sedicente “imprenditore” ad aver presentato denuncia (anche nei confronti dell’onorevole Santi Nicita e dell’avvocato Francesco Favi) risultò l’onnipresente Alessandro Ferraro, braccio destro di Amara, di cui troppo poco oggi si parla. Le accuse di estorsione hanno sempre fatto parte del sistema Amara, del suo modo di “usare”, “sporcare”, Giustizia e avversari: lo stesso, per esempio, fece nel febbraio 2012 nell’operazione “Oro Blu” (vedi scheda).

Operazione Oro Blu

Il primo atto è sempre un’accusa di tentata estorsione nei confronti sia dell’ex sottosegretario DC Luigi Foti che dell’ex amministratore delegato Sogeas Giuseppe Marotta per i quali il gip emetteva poi un provvedimento di misure cautelari domiciliari. L’operazione Oro Blu era frutto di denunce presentate nel 2010 dai rappresentanti della Saceccav per il tramite dei legali Sai8: gli avvocati Piero Amara, Attilio Toscano e Giuseppe Calafiore. Veniva indagato anche il presidente pro tempore dell’Ato Idrico, Nicola Bono. A giudizio dei magistrati, gli inquisiti avevano minacciato la risoluzione del contratto d’appalto del servizio se non fossero state esaudite alcune loro richieste relative non solo ad assunzioni ma soprattutto alla rinuncia della Saceccav ad eseguire alcuni lavori (un cantiere da 64 milioni di euro: un campo pozzi a Siracusa e il nuovo acquedotto di Augusta) nonché alla riscossione delle bollette insolute da affidare, con impropria esternalizzazione, alla Teleservizi di Caserta, indicata da Gino Foti, con un aggio fuori mercato del 15%.

Ovviamente le dichiarazioni di Ferraro (rappresentato da chi se non dall’ “avvocato” Giuseppe Calafiore?) furono considerate del tutto inattendibili dai pm Marco Bisogni e Delia Boschetto che, dopo circa due anni e mezzo dalla denuncia, chiesero l’archiviazione per tutti. Peccato che il giorno stesso in cui il gip avrebbe dovuto decretarla si verificò ciò che Bellavia e Fraschilla raccontano nel loro articolo. L’archiviazione arriverà infatti solo dopo almeno un altro anno e mezzo ma i responsabili di questo oltraggio dell’azione giudiziaria, dal primo all’ultimo atto, non hanno mai pagato. E chissà se ora accadrà. 

È relativo a questa vicenda, quindi, e non ad altro l’avocazione voluta da Giovanni (Gianni per Amara) Tinebra.

A noi rimane il rammarico della sottovalutazione della nostra inchiesta del 2011 perché se si fosse intervenuti per tempo, se fossero stati attivati allora quegli “anticorpi” dello stesso sistema giudiziario che spesso vengono vantati, la storia di Amara e dei suoi sodali sarebbe stata forse diversa, il sistema corruttivo dei magistrati (almeno di quelli asserviti ad Amara) smantellato subito e non dopo oltre un decennio.

Ed è per questo che desideriamo proporre, a chi ne abbia voglia, la rilettura di un nostro articolo, riassuntivo, del 2018 utile a misurare la “distrazione” di quei magistrati che dimenticano l’obbligatorietà dell’azione penale alla notitia criminis e, ancor prima, indifferenti ai segnali, spesso evidenti, che giungono dall’ufficio accanto al loro.

Nell’articolo commentavamo così alcune dichiarazioni dell’ex magistrato Nicolò Marino, assessore regionale all’energia, che nel settembre del 2013 aveva denunciato i favori alla Sai8 da parte di un giudice del Tar di Palermo “iscritto alla massoneria”: “Cosa si sia fatto di questa segnalazione rimane un mistero e non essendo riferito il nome del magistrato, è impossibile per i più sapere se sia ancora in attività e se persegua eventualmente gli stessi metodi”. Ancora, sempre la massoneria quindi, e lo ha d’altra parte recentemente ripetuto Amara che molti sono i magistrati iscritti alla massoneria. Ebbene, quale effetto hanno avuto le sue parole? Quali reazioni? Nulla. Oggi come allora, come sempre.

https://www.lacivettapress.it/2018/03/11/nella-bancarotta-della-sai-8-l-ombra-del-sistema-siracusa/

L’ESPRESSO

PIERO AMARA, NUOVA BUFERA SULLA MAGISTRATURA: A MESSINA INDAGINE SU ALCUNI COLLEGHI DI CATANIA

L’avvocato e faccendiere chiede di patteggiare per bancarotta. E a verbale dice: “Il sistema dei giudici? Meglio avere a che fare con il clan Santapaola” di Enrico Bellavia e Antonio Fraschilla

La scossa è di quelle che preannunciano l’ennesimo sisma. Piero Amara, l’avvocato corruttore di giudici per aggiustare sentenze, chiede un patteggiamento per bancarotta a Siracusa, il terzo: per ottenere lo sconto di pena ammette le proprie responsabilità e racconta di aver fatto ricorso ai legami con alcuni magistrati per favorire una società. In cambio ha ottenuto parcelle per 1,3 milioni di euro che hanno dissanguato l’azienda, portandola al crac. A cascata, le sue rivelazioni aprono l’ennesimo squarcio sul mondo giudiziario e la procura di Messina è già al lavoro. Obiettivo: ricostruire quanto ci sia di vero nel dettagliato resoconto di Amara. Il legale, tramite i buoni uffici del procuratore Tinebra, avrebbe infatti ottenuto che la procura generale di Catania avocasse le inchieste che lo interessavano. Il patteggiamento di Siracusa riguarda il coinvolgimento di Amara nella bancarotta dell’Ato idrico della provincia, ovvero la società pubblica Sai8 che si occupa dell’acqua. Per il crac, l’avvocato ha proposto una pena di sei mesi, in continuità con altre due pene concordate a Messina e Roma. E, viste le ammissioni, la procura ha dato parere favorevole. L’esito, dunque, appare scontato. Tuttavia a riservare sorprese è il contenuto di un incidente probatorio relativo a questa vicenda. Poco prima di essere arrestato dalla procura di Potenza per la vicenda Ilva, infatti, Amara era stato interrogato il 4 aprile. E qui aveva raccontato il sistema escogitato per tirarsi fuori dai guai giudiziari.

Giustizia e potere

In quasi cento pagine di verbale che l’Espresso ha potuto consultare nella sua integrità, Amara ricostruisce i legami con alcuni magistrati che negli anni d’oro del sistema reggevano la procura di Siracusa, come Ugo Rossi, oppure avevano ruoli chiave a Catania, come l’allora aggiunto Giuseppe Toscano e l’allora capo della procura generale Giovanni Tinebra. Adombrando ancora una volta lo spettro di “sistemi” e senza mancare di utilizzare alcune espressioni forti. Come quando, proprio in riferimento alla rete di relazioni con i magistrati sull’asse Siracusa-Catania, afferma che era «meglio avere a che fare con il clan Santapaola, almeno paga ed è tranquillo». Intendendo alludere a un sistema di corruzioni e ricatti molto più avviluppato di quello mafioso.

Il riferimento a tinte fosche è collegato proprio al metodo utilizzato per stoppare l’azione del pm Marco Bisogni, il magistrato che a Siracusa aveva aperto un fascicolo che riguardava vicende legate ad Amara. Secondo Amara a fargli il favore fu proprio Tinebra che avocò poi l’inchiesta al suo ufficio. Una cortesia su cui ora dovrà lavorare la procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia. Il verbale del 4 aprile è circostanziato. Amara è interrogato dal Gup Salvatore Palmeri e da Dario Riccioli, avvocato di Attilio Toscano (figlio del magistrato Giuseppe Toscano e anche lui imputato per la bancarotta Sai8 avendo ricevuto parcelle dell’importo simile a quello incassato da Amara). Ricostruendo i suoi rapporti con alcuni magistrati, in particolare Rossi e Toscano, Amara racconta anche della vicenda che lo ha riguardato direttamente: l’indagine di Bisogni. Dice Amara: «….Poi per esempio alcune decisioni venivano discusse con Gianni Tinebra anche, che all’epoca era Procuratore generale, perché Bisogni aveva un fascicolo nei miei confronti, si pose anche il problema di fare una avocazione di questo fascicolo, lui mandò un amico di Toscano, gli amici, che non mi ricordo chi era il Sostituto procuratore generale, il quale arrivò a Siracusa, prese possesso del fascicolo di Bisogni, poi tornò a Catania e disse “Mi sono divertito, là non si tocca”… Quindi quello era il sistema… per me era meglio avere a che fare con il clan Santapaola, almeno paga ed è tranquillo». Poi Amara ricorda anche il nome del magistrato che secondo lui venne mandato a Siracusa: «Si chiamava Platania, mi pare». Ora il verbale è stato mandato dalla procura di Siracusa, guidata da Sabrina Gambino, a diverse procure. Compresa quella di Messina per i fatti che riguardano la vicenda Bisogni e per verificare se le dichiarazioni di Amara corrispondono al vero, o siano l’ennesimo tentativo di gettare ombre sulla magistratura. Tanto più che Tinebra, scomparso nel 2017, non può certo replicare in alcun modo.

Amara racconta (o millanta) anche di rapporti e relazioni con altri magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria. L’avvocato Riccioli chiede ad Amara: «Può chiarire quali erano queste ragioni del suo rapporto personale ed ottimo con il procuratore Toscano?». Amara risponde: «In relazione non al procuratore Toscano, ma più in generale su cui io sono vincolato ad un obbligo di segretezza da altre procure, perché dopo le dichiarazioni del maggio del 2018…Per quanto riguarda i miei rapporti personali, sono… dei rapporti personali estremamente confidenziali, io sono andato a casa, con lui, con altri magistrati, magistrati del Tar, magistrati di questa Procura, ufficiali di polizia giudiziaria, direi straordinari, discutevamo delle parcelle di suo figlio alla Sai 8…Posso fare l’elenco dei magistrati con cui sono stato a casa sua…Maria Stella Boscarino (magistrato del Tar di Catania)… Tinebra, Adamo Trebastoni (magistrato del Tar di Catania), Longo, poi c’era il… tra gli ufficiali di polizia giudiziaria… mi pare uno Rizzotto si chiamava».

Amara parla di rapporti vincolanti con alcuni magistrati, rapporti che in alcuni casi definisce «mafiosi». Relazioni comunque che gli avrebbero permesso di vincere sempre le cause dei suoi clienti: «In questo senso mi sono permesso e chiedo scusa al giudice di qualificare quasi latu sensu mafioso un certo rapporto, nel senso quando lei chiude un accordo, con il quale lei crea anche il problema, quindi in quel momento, sbagliando, purtroppo questo in gran parte è stata la dinamica dei miei rapporti con la magistratura, che purtroppo per me ho avuto una percentuale di successo quasi all’80 per cento… questa è la dinamica di quei rapporti. Per essere chiari». E il terremoto è servito

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