Franco Battiato, l’addio

“È tempo di lasciare questo ciclo di vite…” (“L’ombra della luce”).

Franco Battiato lascia le apparenze terrene e si ricongiunge alla causa prima, al primo mobile, all’amor che move ‘l sole e l’altre stelle – in questo anno dantesco, nel giorno del compleanno di Falcone e di San Giovanni Paolo II che si commosse per “E ti vengo a cercare”.

E ci sentiamo più poveri e soli. Come tutte le volte in cui ci lascia un idolo della nostra gioventù, un punto di riferimento che credevamo immortale. E invece.

Un mito per tre generazioni e oltre, un siciliano internazionale – interstellare.

Il compositore sperimentale – la musica elettronica, l’avanguardia… – e l’interprete, lui catanese, anzi ripostese, di Jonia di Sicilia, della musica napoletana e di De Andrè e Sergio Endrigo, l’autore pop e il mistico: ci sono tanti Battiato eppure un solo Franco, curioso, eclettico, unico nel panorama italiano e non solo.

La star internazionale che cantava a Fontane Bianche, che si esibiva al Vasquez e durante il concerto si alzava scherzando in dialetto per andare a chiudere una porta che con la sua “sfilazza” gli accoltellava la schiena, che disquisiva del “bardo” con Carlo Muratori all’Aurora di Belvedere, che potevi incontrare al Teatro greco – sua la colonna sonora de “I Persiani” del 1990 -, al Premio Vittorini, – Piacere, Battiato -, ironico e gentile, ieratico eppure familiare.

Nelle case dei siciliani ieri se ne è parlato come di un parente, di un amico. Francu, Cicciuzzu.

Volutamente ometto le polemiche, il rapporto difficile con la politica.

Ometto l’ipocrisia post mortem di tanti che approfittano della sua scomparsa per vantare amicizia e vicinanza.

Nella speranza che l’eredità musicale e culturale di Battiato non si disperda, che il suo nome non venga sbandierato come paravento o come un santino disinnescato ma  spinga ognuno di noi “solo ad essere migliore, con più volontà”, ad emanciparsi “dall’incubo delle passioni”, a “cercare l’Uno al di sopra del bene e del male, essere un’immagine divina di questa realtà…”.

Mi piace ricordare il “maestro” che si attardava dietro le quinte e faceva cenno all’autista di aspettare per poter parlare con i fan, l’autore e il poeta – anche se è doveroso ricordare il sodalizio con il filosofo Manlio Sgalambro che ha prodotto miracoli come “La cura” -, il cineasta sui generis di “Perduto amor” – quanta Sicilia in quei fotogrammi.

Mi piace pensare a Milva – colta e sensuale interprete di “Alexanderplatz” e molto altro –, a Giuni Russo, voce inarrivabile, siderale – i sovracuti di “Un’estate al mare”, sublime tormentone estivo, i duetti, fino a San Giovanni della Croce, vertigine di un’artista unica –, a Carmen Consoli, ad Alice, eleganza e carattere: tutte donne che la collaborazione con Franco Battiato ha esaltato senza schiacciarle.

Mi piace ripensare alla maniera unica di essere siciliano per Franco Battiato: l’uso del dialetto come lingua non di maniera, ma come strumento del suo misti- e plurilinguismo (basterebbero “Stranizza d’amuri” e “Aria siciliana” a confermarlo, e non solo).

Mi piace pensare a quanti versi racconti articoli siano nati dall’ispirazione di una canzone, dall’abbraccio di note e parole così evocative, dense di significato e di sovrasensi.

Siamo stati a Baku, ad Atlantide, al Grand Hotel Seagull Magique e al Caffè de la Paix, nei campi del Tennessee… abbiamo sofferto con Shackleton e compagni e i loro cani, abbiamo danzato con i dervisci tourneurs, abbiamo pianto la “Povera patria”, abbiamo intrecciato capelli e trame di canto vivendo “Strange Days” e “Shock in my town” e lodando l’Inviolato all’ombra della Luce. Sempre al ritmo fuori sincro di una voce imitabilissima – oh le parodie deliziose di Fiorello! – eppure così peculiare.

Hai mantenuto la promessa: “Turnarraggio/ Quanno tornano li rose/ Si stu sciore torna a maggio/ Pure a maggio io stonco ccà”.

Grazie di tutto, maestro.

Dopo tante note e parole, buon tuffo nell’Oceano di silenzio.

“E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”.

 

 

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