Le Georgiche di Virgilio in siciliano: la traduzione di Maria Bella

 

Maria Bella Raudino, già docente, scrittrice e poetessa, presidentessa del CSTB, il Centro Studi di tradizioni popolari “Turiddu Bella”, dedicato al padre poeta e cantastorie originario di Mascali (CT), è autrice di articoli, saggi e lavori poetici – ricordiamo almeno “Simenza d’amuri” e “Amaru meli” 1 .

Con questo lavoro la Nostra si cimenta in un’impresa che altri in passato tentarono: rendere in siciliano uno degli autori classici latini più importanti, ovvero Virgilio2 .

Ma la prospettiva di Maria Bella è assolutamente differente: tradurre dei passi scelti dalle “Georgiche” virgiliane vuol dire cercare un legame, un fil rouge, una continuità tra la civiltà contadina vagheggiata dal cantore di Andes e quella agropastorale siciliana. Questo tramite il dialetto siciliano, che grazie alla sapiente tecnica del verseggiare di Maria Bella può rendere il sinuoso, elastico, versatile esametro latino, metro che si presta a essere reso dall’endecasillabo italiano e specie siciliano.
Sembra che il Virgilio dell’età augustea, impregnato di miti, sia distante dalla Sicilia – granaio dell’impero, ricordiamolo –, ma leggere la versione di Maria Bella avvicina, ad esempio, le divinità greco-romane ai santi protettori delle messi. Come non pensare alle feste per Demetra e Kore confluite poi nei culti delle sante come Lucia e della Pasqua con i suoi “lavureddi” e i pani simbolo di resurrezione dopo l’apparente morte del chicco di grano (la famosa “cuccìa” richiama i pani sacri offerti alle dee della vegetazione e delle messi…)? A Bacco, Libero e Libera, a Cerere e insieme alle processioni, alle feste contadine, alle tradizioni dei pastori siciliani?

Fa un certo effetto leggere la parola “lavuri”: etimologicamente labor, lavoro, fatica e insieme il loro frutto, il raccolto. Travagghiu, travaglio, parto, travaille, travagliato… sono tanti i riferimenti evocativi al lavoro come sforzo per ottenere il frutto del sudore della fronte, il pane della vita (con tutti i suoi significati sacrali oltre che materiali, stratificati nelle culture che si sono avvicendate nei secoli: la mercede dell’operaio, il grano e la vite che si transustanziano nell’Eucarestia…).

Maria Bella intreccia legami di spighe fra il lavoro contadino dei tempi di Virgilio e quelli dei nostri avi, grazie allo studio delle fonti, dei miti, delle parole, dei modi di dire che elenca e spiega nelle appendici al lavoro di traduzione: il legame tra il poema virgiliano e gli studi etnoantropologici risulta così senza soluzione di continuità.

Lavoro certosino, compiuto utilizzando anche gli studi precedenti, incrociati alla riflessione sulle nostre radici agropastorali. Sfilano i luoghi, gli attrezzi e soprattutto i tempi del lavoro contadino, regolati sulla Natura.

Leggendo seguiamo infatti il ritmo delle stagioni, immaginiamo il forte legame tra il lavoro dei campi e la vita spirituale dell’uomo, il “come in cielo così in terra”, quell’armonia tipica dell’età dell’oro che però è idealmente descritta da Virgilio come valevole anche per i tempi argentei e ferrei della storia umana: la protezione celeste assicura una semina favorevole e un raccolto abbondante, piogge e neve e caldi e geli ben distribuiti perché siano propizi al lavoro contadino.

La lingua utilizzata da Maria Bella è un siciliano piano, ritmato dall’endecasillabo, con il gusto della parola precisa ma senza inutili tecnicismi. I versi scorrono musicali come – etimologicamente – l’aratro nel solco.

Troviamo vocaboli come “trantulini”, quasi onomatopeico, affettuoso comunque; non mancano metafore come “riti chiangiulini” o “viti sarmintusa”, o allitterazioni come “voscu vidrai”.

Utilissima, anzi diremmo necessaria e indispensabile, la versione italiana a fronte, sia per permettere la comprensione a chi non fosse pratico di siciliano, sia a chi non conosca – e siamo i più – il lessico contadino, diremmo quasi il gergo specialistico del mestiere della terra. La traduzione italiana consente anche di apprezzare meglio il lavoro traduttivo di Maria Bella: ci si potrebbe divertire a scoprire come la poetessa abbia reso le espressioni virgiliane (molto spesso alla lettera, altre con perifrasi e modi di dire prettamente isolani, altre ancora liberamente, adattando la lectio del poeta latino ad una sensibilità contemporanea o comunque posteriore alle Georgiche); il passo successivo, che forse sarebbe quello preliminare, potrebbe essere quello di andare direttamente alla fonte e consultare il testo originale, che ha probabilmente più punti di contatto con la sua resa siciliana che con le traduzioni in lingua italiana. La base latina di lessico e
morfosintassi siciliana risultano così molto evidenti, così come, dicevamo, la “ri-creazione” siciliana del poema ad opera della Bella.

Per chi desiderasse leggere il testo della traduzione, ecco il link (nel sito troverete anche tutto il materiale su Maria Bella Raudino):

Le Georgiche – Libro Primo

 

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NOTE

1 Maria Bella, Simenza d’amuri, liriche siciliane, Catania 1989; Maria Bella, Amaru meli, Pungitopo, Gioiosa Marea (ME) 2004.
2 A mo’ di esempio, riportiamo questo riferimento:
https://www.google.it/books/edition/I_manoscritti_della_Biblioteca_comunale/OUFFAAAAYAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=georgiche+traduzione+in+siciliano&pg=PA374&printsec=frontcover (si tratta di Francesco Pasqualino, Poesie varie, siciliane ed italiane, Mss. originali del sec. XIX, di carte 233 numerate, di vario sesto, in I manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo, indicati e descritti dall’ab. Gioacchino Di Marzo, capo bibliotecario, vol. 3, Stabilimento tipografico Virzì, Palermo 1878).

 

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