Quadro del Caravaggio. Nel 2006 l’errore di spostarlo alla Basilica del Sepolcro, l’annuncio di una teca mai realizzata e l’appello di Vincenzo Consolo con altri scrittori, storici dell’arte e intellettuali a difesa del dipinto

Sgarbi è un grande esperto del Caravaggio e, per mostre da lui curate, altresì grande “movimentatore” pure del Seppellimento di Santa Lucia negli anni della più sfrenata “caravaggiomania”. Quando non si facevano troppi scrupoli a spostare il quadro da un evento all’altro in giro per l’Italia, nonostante parere tecnico contrario. Adesso il critico ha rinfacciato che in Sicilia, e a Siracusa in particolare, da 15 anni si cercano senza trovarli i finanziamenti per mettere finalmente in sicurezza il quadro, e che lui invece c’è riuscito; sottolineando di averlo fatto da ex assessore ai Beni culturali della Regione Siciliana. Verrebbe voglia di dire “Ve lo meritate Sgarbi”.
Come è ormai arcinoto nel pacchetto che ha proposto, in cambio del trasferimento dell’opera a Rovereto per una mostra da allestire al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea da lui diretto, ha messo sul piatto la possibilità di un finanziamento di 350mila euro da parte della Provincia di Trento, in gran parte da spendere per una teca climatizzata a protezione della tela. A realizzarla sarebbe la Goppion, azienda milanese di fama internazionale leader nella progettazione e creazione di teche all’avanguardia per i più importanti musei del mondo, fra cui la vetrina che dal 2005 protegge al Louvre La Gioconda.

Di una teca quale soluzione principale per il Caravaggio di Siracusa si parlò la prima volta 14 anni fa, ed è opportuno ricordarlo per più ragioni. Partiamo dal numero di luglio 2006 del periodico L’Isola dei Cani che così scriveva: “Da oltre due mesi il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio è stato riportato nella basilica di S. Lucia al Sepolcro. Ma ancora non c’è traccia della teca blindata dotata di vetro antiriflesso che lo dovrebbe contenere per meglio proteggerlo grazie a un sistema di microclimatizzazione in grado di garantire l’umidità costante necessaria (…) Almeno così avevano affermato Guido Meli, direttore del Centro regionale per la progettazione e il restauro (Crpr) e Mariella Muti, soprintendente ai Beni culturali e ambientali di Siracusa, assicurando che questa struttura protettiva sarebbe stata realizzata a breve”.

Il ritorno del quadro nella basilica del Sepolcro, dopo 35 anni di assenza, era avvenuto il 18 maggio 2006 e Meli e Muti, affermando che avrebbe goduto delle migliori condizioni, comunicarono la notizia della speciale teca in corso di progettazione da parte dello stesso Centro regionale per il restauro di Palermo che, mediante un collegamento on line, avrebbe potuto monitorare costantemente a distanza il dipinto. Fu inoltre detto che c’era la disponibilità di privati a finanziare la costruzione del manufatto. Con tali argomenti il direttore del Crpr e la sovrintendente di Siracusa avevano replicato all’appello sottoscritto da esponenti del mondo della cultura locale, siciliana e nazionale, in cui si esprimeva “grande preoccupazione per il trasferimento dell’opera dal Museo regionale di Palazzo Bellomo alla Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, le cui tre absidi, in parte interrate, rendono l’ambiente pericolosamente malsano per la sopravvivenza del capolavoro a causa dell’eccessiva umidità, dell’instabilità chimico-climatica e della proliferazione di microrganismi e muffe incontrollabili”.
A promuovere l’appello – che ebbe una certa eco attraverso la diffusione di giornali a tiratura nazionale – erano stati gli scrittori Vincenzo Consolo, allora presidente del Premio Vittorini, e Pino Di Silvestro, siracusano e vincitore di un’edizione del premio col romanzo La fuga, la sosta. Caravaggio a Siracusa (Rizzoli, 2002). Tra i firmatari, altri scrittori quali Dacia Maraini, Erri De Luca, Paolo Di Stefano, Corrado Stajano, Domenico Cacopardo (che, qualche anno dopo, avrebbe scritto pure lui un romanzo ambientato durante il soggiorno del Caravaggio in Sicilia, Maddalena femmina di locanda Betelgeuse editore, 2015), storici e critici d’arte di chiara fama come Carlo Bertelli, Andrea Emiliani, Giuseppe Basile e Caterina Bon Valsassina che all’epoca dirigeva l’Istituto Centrale per il Restauro.

Le preoccupazioni manifestate in quell’appello erano motivate e documentate. Trasferita nel 1971 dalla Basilica del Sepolcro al Museo di Palazzo Bellomo, a salvare l’opera era stato l’Istituto Centrale del Restauro (ICR). Il suo fondatore e grande storico dell’arte, il senese Cesare Brandi, negli anni Cinquanta si era occupato personalmente di un primo intervento. Il secondo restauro eseguito dall’ICR, con la direzione scientifica di Michele Cordaro, era stato condotto tra il 1972 e il ’79. Durante quegli interventi, nelle parti del quadro in cui fu possibile, si riuscì a recuperare la pellicola pittorica originale rimuovendo le pesanti ridipinture sovrapposte che risalivano ai restauri più antichi eseguiti nei primi decenni dell’Ottocento e del Novecento.

Vale la pena ri/leggere alcuni passaggi di un testo scritto da Brandi nel 1977: “Se c’è un capolavoro che poteva credersi quasi perduto, l’ombra di sé stesso, questo è il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio; se c’è un capolavoro che un restauro pluriennale è riuscito a ricomporre dalle sue ceneri è il Seppellimento di Santa Lucia, che l’Istituto Centrale del Restauro sta finendo di mettere a posto e che procura un’emozione fortissima, come vederlo per la prima volta. Il quadro, esposto in una chiesa di Siracusa, umido e danneggiato già da più di due secoli, dal Suppa era stato ridipinto senza cerimonie, con una larghezza di sovrapposizioni che poteva far credere che sotto non c’era più nulla” (…) “Che il capolavoro restituito ad una nuova vita non fittizia, non torni a marcire nel luogo che quasi l’aveva cancellato dal tempo. Lo so, è una cosa difficile, ma a cui si deve arrivare. Se il corpo della santa sta a Venezia, il quadro potrà appendersi, sempre a Siracusa bene inteso, in un locale dove non soffra le ingiurie che ha subito finora, e dove, in opportuna luce, vedrà trascorrere in ammirazione i fedeli caravaggeschi come i fedeli della santa. Regione, autorità ecclesiastica, e infine i siracusani non possono mancare a questo compito di civiltà” (da “Come riscoprire un Caravaggio” in Sicilia mia di Cesare Brandi, Sellerio editore Palermo, 1989 prima edizione).

Parole al vento. Da tempo la diocesi cittadina, in particolare la comunità dei frati minori francescani reclamava la “restituzione” del dipinto, che avvenne in un contesto e in un’atmosfera di palpabile propaganda politica, dieci giorni prima delle elezioni regionali del 28 maggio 2006. Operazione targata centrodestra, soprattutto Forza Italia. Di certo non ci fu alcun problema col FEC, Fondo edifici di culto, ente dello Stato proprietario fra l’altro di tutte le opere d’arte conservate nelle chiese, legalmente rappresentato dal ministro degli Interni pro-tempore e amministrato attraverso le prefetture. Per la Regione Siciliana c’era l’assessore ai Beni culturali, ambientali e alla pubblica istruzione che da settembre del 2004 (subentrando a Fabio Granata, spostato al Turismo) era l’ex Dc e berlusconiano della prima ora Alessandro Pagano. Quell’Alessandro Pagano da qualche anno diventato leghista ed eletto al parlamento nazionale nel 2018, che lo scorso 13 maggio ha definito durante un intervento alla Camera “neo terrorista” Silvia Romano, la giovane volontaria italiana liberata dopo 18 mesi dal suo rapimento in Kenya.
Tornando alla kermesse di quel 18 maggio 2006, non poteva naturalmente mancare il sindaco Titti Bufardeci, pure lui di Forza Italia e di provenienza laico-socialista. Ma per l’occasione Bufardeci scelse, assieme a Pagano, di parlare di “radici cristiane” coniugate, grazie al ritorno del quadro, “a un’opportunità di rinascita per il quartiere della borgata” e a un “incentivo del turismo religioso”. L’assessore regionale futuro leghista affermò che l’appello di Consolo-Di Silvestro e degli altri firmatari rivelava una “logica anticlericale”. Mentre l’architetto Guido Meli disse che non bisognava prendere in considerazione le argomentazioni dell’appello definendole “polemiche datate”. Ma la teca climatizzata annunciata da Meli – e dalla sovrintendente Muti – che avrebbe dovuto proteggere la tela non fu realizzata né “a breve” – come avevano dichiarato – né mai. Perché? Non c’era già un finanziamento da parte di privati? I finanziatori fecero marcia indietro? O cos’altro? Forse potrebbero dircelo una volta per tutte, per toglierci almeno la curiosità, i meglio informati di noi Meli, Muti, Sgarbi, Granata, lo stesso attuale assessore regionale ai Beni Culturali Samonà che potrebbe chiederlo al collega leghista Pagano che – abbiamo ricordato – era lui assessore al tempo del fantastico progetto della teca svanito nel nulla.

Antonio Mangiafico

Fatto sta che il quadro del Caravaggio nel 2006 fu trasferito dal Museo di Palazzo Bellomo alla Basilica del Sepolcro senza le reali garanzie di sicurezza sbandierate. Le argomentazioni contenute nell’appello degli storici dell’arte e degli scrittori contrari a quel trasferimento erano fondate e tutt’altro che datate, tanto che in anni recenti le stesse criticità sono state evidenziate da tecnici del Centro regionale per il restauro mediante periodici sopralluoghi e analisi, che hanno più volte certificato come la basilica di Santa Lucia al Sepolcro non garantisca condizioni ottimali di sicurezza per il prezioso dipinto.
Né le garantisce, sempre a parere dei tecnici, l’altra chiesa cittadina dedicata alla patrona, Santa Lucia alla Badia in piazza Duomo dove il quadro venne spostato nel 2009, in seguito ai lavori di restauro programmati nella basilica di piazza Santa Lucia. Peraltro, è stata più volte evidenziata l’infelice scelta di esporre il Seppellimento di Santa Lucia appoggiandolo sulla preesistente pala d’altare della chiesa della Badia: il Martirio di Santa Lucia (1579) del napoletano Deodato Guinaccia.

Che da 14 anni si sottoponga un’opera plurisecolare, faticosamente recuperata e meritevole di attenzione, a concreti rischi è decisamente sconcertante. Sarebbe stato troppo di buon senso lasciarlo in condizioni più sicure al museo di Palazzo Bellomo, o almeno riportarvelo nel 2009 quando il museo riaprì dopo il lungo restauro? Sì, riportarlo al Bellomo, progettando un nuovo allestimento per poterlo ammirare “in opportuna luce” come auspicava Cesare Brandi.
O comunque custodirlo li fin quando non fossero, realmente, mutate e verificate le condizioni di cui si è detto della basilica di Santa Lucia al Sepolcro.
Si sono invece fatte altre scelte e perpetuati errori. A parte qualche conferenza, i tormentoni che si sono susseguiti, di cui abbiamo saputo e letto, hanno da anni raggiunto livelli grotteschi: dalla demagogia delle raccolte di firme per il ritorno – a prescindere – alla Borgata, col birignao della “restituzione del quadro”, come se qualcuno lo avesse scippato e non invece tentato di salvaguardarlo; al non-dibattito sul turismo religioso in cui si danno davvero i numeri.

vignette di Antonio Mangiafico

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