TEATRO GRECO, CALA IL SIPARIO ANCHE SU “LE NUVOLE”. LA NOSTRA RECENSIONE

“L’unica forse che abbia avuto la capacità attraverso la parola detta di arrivare al sortilegio di farci intendere  quello che c’è al di là del mondo sensibile, che poi è uno dei grandi privilegi del fare teatro, del nostro mestiere”. Con queste parole accorate il regista Antonio Calenda ricordava Piera Degli Esposti e crediamo non ci sia suggello migliore per questa edizione 2021 delle Rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa, che ha visto maestranze attori e registi cimentarsi in “Coefore” ed “Eumenidi” – firmate dal talento visionario di Davide Livermore –, “Baccanti”, con lo spettacolare coro aereo voluto da Carlos Pedrissa, e “Nuvole” di Aristofane, diretto dallo stesso Calenda.

E per quanto riguarda “Nuvole” ci verrebbe da dire: “tanta roba”. La traduzione di Nicola Cadoni, più che attualizzare il testo, viaggia attraverso varie suggestioni, perfino con echi leopardiani e “trecce morbide” di manzoniana memoria – parodiare la tragedia di Adelchi all’interno di una commedia greca crea un notevole effetto matrioska. Al di là della trama, che offre il destro anche tramite la vocalità per rispecchiare le solite polarizzazioni politiche, le estenuate acrobazie del politically correct, i gliuòmmeri verbali dei demagoghi mestatori di parole, garbati graffi non si risparmiano ai temi del reddito di cittadinanza, alle fake news – forse le vere protagoniste della pièce, “bufale” che viaggiano in rete, nell’immaterialità del “cloud” che nuvola è appunto, nuvola come nebbia del pensiero, inquinato obnubilamento della comunicazione.

Un plauso particolare a Nando Paone, uno Strepsiade strepitoso, in stato di grazia, culmine e summa della commedia dell’arte, della tradizione partenopea, condite con Brecht e Godot, Pirandello e Beckett.

Stefano Santospago è un Aristofane intellettuale e brontolone insieme, il Fidippide di Massimo Nicolini notevole nell’evolversi da immaturo gagà in perfetto, corrotto manipolatore della parola, “monstre” frutto non solo degli insegnamenti di un Antonello Fassari – Socrate mellifluo, misurato, molto in parte (e di sghimbescio ammiriamo la capacità dell’interprete di saltare dalla commedia all’interpretazione di un Tiresia contemporaneo nelle “Baccanti”); una conferma Galatea Ranzi e Daniela Giovanetti come corifee, Discorso migliore/Stefano Galante e Discorso peggiore/Jacopo Cinque una scoperta (vocalità sicura, serrato, accorato il confronto dialettico tra i due); Alessio Esposito e Matteo Baronchelli credibili nel siparietto creditori-debitore con Strepsiade – ricordiamo anche Antonio Bandiera, Matteo Baronchelli, Alessio Esposito, Giancarlo Latina, Jacopo Cinque, Stefano Galante, Alessandro Mannini, Damiano Venuto, discepoli di Socrate e lo Xantia di Rosario D’Aniello.

Le scene e i costumi di Bruno Buonincontri evocano giardini cechoviani di finta perfezione e tribune da speaker’s corner tra Otto e Novecento, le musiche di Germano Mazzocchetti commentano, ironizzano, testo musicale su testo poetico, contrappunto e glossa insieme alle parole, mentre le “nuvole” si muovono secondo le coreografie soffici di Jacqueline Bulnés.

Al di là e in parallelo alla visione dello spettacolo, un incontro denso di spunti è stato quello del 6 agosto con Antonio Calenda nella splendida cornice dell’Orecchio di Dionisio e della Grotta dei Cordari: la conversazione con il regista, l’ultima del calendario, è stata non solo la celebrazione di un uomo di teatro ma anche l’occasione di dialogare sul ruolo dell’artista, un “mediatore di senso” secondo le stesse parole di Calenda, e del teatro stesso, fondale e specchio della polis, di diritto e democrazia, dibattito processuale in forma d’arte alla ricerca dell’equitas, specola della realtà, non oleografica ma intrinseca da cui guardare sul mondo, logos, parola che diventa visione e fa vedere, mimesi e sortilegio, che si muove tra fenomenologico e ultroneo per scrutare il segreto del mondo.

La peste, la morte di Pericle, la guerra come plafond… impossibile non cogliere i parallelismi tra il sotto- e il con-testo della commedia (ma anche di tutto il teatro classico) e la nostra contemporaneità. Partendo dall’Eschilo chiamato in causa da Aristofane autore-personaggio di “Nuvole”, l’Eschilo poeta dell’”Orestea”, madre della drammaturgia, Calenda ha ripercorso, conversando con Manuel Giliberti e Pucci Piccione, moderati da Margherita Rubino, i propri studi, gli incontri e gli inizi come regista, ripensando anche al proprio ruolo che, al di là di impossibili ricognizioni sul piano figurativo per comprendere come mettere in scena un testo antico, considera come quello di chi è chiamato a “far brillare queste mine che sono le parole”.

 

 

 

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