Residenze per anziani (2.600 posti letto in provincia): il buco nero in cui tutto scompare

 

Nel corso della video conferenza con i segretari generali e rappresentati del sindacato pensionati – Valeria Tranchina Spi Cgil SR, Vito Polizzi Fnp Cisl SR Rg, Salvo Lantieri Uil SR nord sud, Paola Di Natale e Antonio Bruno Fnp Cisl, Paolo Gallo Spi Cgil – di qualche giorno fa, insieme alle problematiche relative ai distretti socio sanitari della provincia, abbiamo anche affrontato quelle sulle residenze per anziani: un tema scottante ancor di più per persone la cui fragilità in tempi di pandemia viene aggravata dall’isolamento coatto.

Un settore complesso anche per la presenza di strutture di varia tipologia. Le Linee guida del Ministero della Sanità (n.1 gennaio 1994) forniscono indicazioni fondamentali, introducendo la differenziazione tra la residenza sanitaria assistenziale (RSA) dove dovrebbe essere garantito un livello medio di assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrato da un livello alto di assistenza tutelare ed alberghiera ad anziani non autosufficienti e a disabili fisici, psichici e sensoriali; e la Residenza Assistenziale (RA) che si pone al di fuori delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale e consiste in diverse forme di residenzialità collettiva (case di riposo, case albergo, comunità alloggio, istituti religiosi, ville, residenze, case famiglia, etc..) accreditate o convenzionate e non, e caratterizzate da diversi livelli di protezione sociale e di assistenza offerta ad anziani autosufficienti non bisognosi di assistenza sanitaria specifica.Nelle residenze assistenziali le prestazioni di medicina generale, attività infermieristiche e riabilitative sono assicurate dai servizi sanitari distrettuali. I costi dell’ospitalità non sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale che assicura solo le prestazioni sanitarie erogate attraverso il distretto” chiarisce Vito Polizzi. Ma molte sfuggono ai controlli e sono sconosciute a sindaci, prefetto, asp, tant’è che, per fronteggiare il diffondersi del contagio da corona virus, solo recentemente si è pensato di creare un database, predisposto dal sindaco di Ferla, per delineare un quadro completo dello status quo. “Non ne sappiamo niente – osservano i segretari Cgil, Cisl, Uil -. Noi conosciamo solo il censimento della Spi Cgil stilato nel 2018 e consegnato giorni orsono all’Asp”. Ma qual è stata la modalità di raccolta dei dati? “Non è stato facile reperirli – ricorda Valeria Tranchina -. Per mappare le strutture nella provincia – ne abbiamo intercettate 118 -, ci siamo barcamenati estrapolando le informazioni dai motori di ricerca, Pagine Gialle, web, elenchi regionali, comunali e della Camera di Commercio (alla voce imprese registrate), siti internet delle strutture residenziali stesse, offerte commerciali, ovunque. Ma abbiamo anche fatto di più: quando le risposte “ufficiali” non sono arrivate o sono state evasive o incomplete ci siamo finti utenti e cercato informazioni in ogni modo possibile. La nota dolente, i cui dati non abbiamo avuto telefonicamente, ma andando di persona, riguarda le rette. La trasparenza su tale informazione è poca, anche quando – de visu- si dà contezza della retta minima, si rimane vaghi sulla massima, che dipende da vari fattori (la deambulazione, il grado di autosufficienza, la cronicità di qualche malattia, a volte lo stato psicologico). Nei comuni limitrofi al capoluogo le rette più basse: dalle 900 alle 1200, mentre a Siracusa si innalzano fino alle 1600 euro, senza che però si sappia se aumenteranno in base alle condizioni di salute dell’ospite. Costi insostenibili se si pensa che per l’Inps di Siracusa la pensione media nella nostra provincia si attesta tra i 600-800 euro. Ecco il perché del ricorso a residenze meno costose distanti dalla residenza dell’anziano, a cui viene imposta una migrazione forzata che inevitabilmente si traduce in un senso di abbandono ancor più traumatico. Lontano dai propri cari e dai luoghi familiari e con la sensazione di essere un peso per la famiglia perché la stessa pensione non è sufficiente al proprio mantenimento”.

Questi i dati emersi dal censimento del sindacato: 2 rsa pubbliche dell’Asp presso l’ospedale Rizza nel capoluogo e l’ospedale di Lentini, 4 rsa private accreditate con l’Asp, le altre residenze assistenziali private, di cui 20 in convenzione con i Comuni. Circa 2.600 posti letto. Ma molte strutture non sono presenti negli elenchi regionali e comunali di competenza, non operano in regime di accreditamento né di convenzione; non si sa neanche se sono in possesso di autorizzazioni: “molte altre aprono solo con il DIA, la semplice dichiarazione”.

“Le strutture sono per lo più di modeste dimensioni, spesso in appartamento, specie qui a Siracusa – osserva Salvo Lantieri -, più facilmente in uno stabile o villa nella periferia e nei comuni limitrofi. Il numero di posti letto dovrebbe seguire standard rapportati ai mq delle stanze, ma a volte in una camera alloggiano in sei e con i lettini a castello. Riguardo al personale, le figure professionali qualificate nel settore sanitario (medico, infermiere) per lo più non sono presenti in modo stabile ma, come gli altri operatori, con frequenza periodica (le mattine, bisettimanale, etc.), a volte all’occorrenza. Spesso gli OSA o OSS sono parenti più o meno qualificati. Il ricorso a figure esterne come assistenti sociali, fisioterapista, psicologo, è saltuario; quando si parla di animatori – vista l’attenzione a mantenere gli ospiti anziani in attività – le risposte diventano vaghe. Ci sono strutture anche con 40 dipendenti, ma non si sa se a tempo indeterminato, part-time o addirittura senza contratto. Sicuramente è un settore lavorativo dove l’occupazione è in aumento, il che conferma la convinzione che il welfare sia volano di occupazione e di sviluppo economico”. “Sembra ci sia una maggiore attenzione all’assistenza spirituale, che spesso si concretizza nell’aver al proprio interno una piccola cappella per le funzioni religiose, che a quella psicologica” commenta Tranchina.

“Le residenze per anziani sono spesso invisibili – rileva Vito Polizzi –, di queste realtà si sente parlare poco, spesso solo quando scoppia il caso per situazioni di degrado o di abusi. Eppure la domanda di assistenza dell’anziano e del non autosufficiente è in costante crescita; i mutamenti pervenuti a livello sociale con nuclei familiari composti da persone sole, la contrazione economica delle risorse familiari e pubbliche destinate alla assistenza, l’aumento dell’età pensionabile, l’indeterminatezza delle condizioni lavorative per tutti, sono per noi tutti una sfida alla soluzione di questi bisogni emergenti di questo segmento della società sempre più vulnerabile. Ma il terzo settore, il sociale, la cura e l’assistenza, sono diventati per molti solo un business. Il mercato privato, l’impresa, gli interessi si stanno spostando sempre più verso le residenze assistenziali sociali e le rsa, dove il carico sanitario è minore e i soldi pubblici o anche privati, tanti. E spesso sono soprattutto i grandi gruppi che hanno fiutato l’affare, giganti anche in grado di influenzare le politiche, come nel siracusano. E accanto c’è anche l’Italia della piccola iniziativa e le case di riposo con una media di 15-20 posti letto sembrano nascere come funghi, senza requisiti minimi, poche le informazioni date, poche le strutture che pubblicano la Carta dei Servizi, poche dicono del personale impiegato. E oggi l’emergenza covid 19 ha esaltato le disfunzioni del sistema. La stessa mobilità degli operatori sanitari è diventato un pericolo, un veicolo di diffusione di contagio da una struttura all’altra. Ma entrare nello specifico di quanto oggi stia accadendo in queste strutture è impossibile. Segnalazioni non formalizzate ci dicono che alcuni anziani vengono portati via dai propri familiari e non sappiamo di dpi, tamponi, sanificazioni. Ed è proprio da qui la nostra richiesta di un intervento diretto e rigoroso delle autorità amministrative e sanitarie del territorio. Per non dover anche noi piangere anziani e disabili lasciati soli a morire”.

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