Presentato l’Angelo di Pietra di Duccio Di Stefano

Bellissima e inconsueta storia d’amore con una prosa intimistica che rasenta la poesia   

La Civetta di Minerva, 11 maggio 2018

Che ci fa una vecchina “vestita di nero, con un foulard di quelli che ero abituato a vedere alle signore di una certa età che sovente abitavano la mia terra, e che nascondeva alla vista la treccia di lunghi capelli bianchi” nella dolcissima storia d’amore tra  Gonzalo Marquena, capitano della barca Sebastiano padre, “figlio di un pescatore siciliano e nipote di un avventuriero catalano”, e Carolina? Lo dovrete scoprire da soli leggendo “L’Angelo di Pietra” di Duccio Di Stefano, un racconto breve denso di emozioni, colori gettati a piene mani da uno scrittore poeta, ma anche pittore che trae dalla tavolozza le albe e i tramonti e il ceruleo del mare di questa terra di Sicilia con la perizia di un pennellatore.

Una storia d’amore, si diceva. Io non so quanti lettori siano avvampati fin nelle plaghe del proprio corpo magari soltanto per un bacio, sentendo sulle labbra quell’afrore salmastro che pervade e rende cogente l’amplesso, di cui non ci si stanca mai. E proprio questo accade tra Gonzalo e Carolina, esplorando le geometrie del seno, delle anche, del sesso, ogni carezza come una scoperta mai prima provata (“i nostri corpi cantavano insieme”) anche se Gonzalo è un latin lover, uno che porta a letto le turiste che si affidano alla sua barca.

Ma è una storia d’amore che a un certo punto s’interrompe. Carolina deve ripartire per il suo paese e Gonzalo la cerca nei ricordi che tutti si affollano alla mente, mentre egli vuole assaporarne ciascuno, sceverarlo e delibarlo resuscitando “giorni e notti, posti e cose”. E allora prende carta e penna e scrive una lettera che Carolina non vedrà mai, una lettera piena di parole e di silenzi, sì di silenzi (che è un andare a ritroso anche di se stesso). I ricordi diventano tele, paesaggi (“Il pomeriggio è di gomma, si scioglie sotto le ultime onde di sole. Cola sulla testa delle case, sui rami degli alberi, su tutte le cose. È azzurro e arancio e scurisce in fretta…”), introspezioni dell’infanzia a cospetto della vastità del mare, che è esso pure protagonista di questo racconto.

Non dirò altro di quanto accade dopo. Ogni lettore potrà scoprirlo, anche meravigliandosene, ma senza smettere di bere le pagine, avvinto dalla voglia di andare oltre. Una cosa è certa. Duccio Di Stefano possiede la capacità di incatenare il lettore con una prosa avvincente, figurativa, immaginifica. 

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