Vittorini ignorato dalla città. Né un museo né percorsi didattici

Il 12 febbraio si è celebrato il cinquantenario della morte del grande scrittore siracusano. Non fosse per la biblioteca di via Brenta, a Siracusa nulla ne ricorda i luoghi a lui più cari

 

Cinquant’anni fa, il 12 febbraio 1966, si spegneva prematuramente – proprio lui che portava il nome del sole – Elio Vittorini. Il 13 febbraio alle ore 18 la Casa del Libro Rosario Mascali in via Maestranza a Siracusa – oh quante memorie vittoriniane cela l’isolotto di Ortigia! – lo ha celebrato conversando con Annalisa Stancanelli sul rapporto fra Vittorini, Pavese e i fumetti, specie quel “Michi” – italianizzazione diciamo così autarchica di Mickey Mouse, ovvero quel Topolino che tanto ha influito non solo sull’infanzia e l’adolescenza di intere generazioni, ma anche sulla formazione di intellettuali del calibro di Umberto Eco, scomparso qualche giorno fa – e sì, si parlerà anche di “Linus” – e dello scrittore aretuseo, che è stato talent scout, organizzatore di cultura, intellettuale engagé ma mai schiavo dell’ideologia.

Fumetti, dunque, e non ad esempio “Conversazione in Sicilia”. Ma quanto suonano attuali gli “astratti furori” e la “quiete” della “non speranza” in questa Siracusa che non è più quella de “Il garofano rosso” ma che avrebbe bisogno di un altro passo, di nuovi slanci culturali? Chissà cosa penserebbe, cosa scriverebbe, come parlerebbe oggi quel Vittorini pronto alle innovazioni, quasi profetico nelle sue intuizioni, che metteva sullo stesso piano alta letteratura e balloons, che grazie all’antologia “Americana”, alla ormai mitica collana einaudiana de “I gettoni”, alla rivista “Il Politecnico” diede un contributo decisivo allo svecchiamento della cultura italiana?

Qualche sollecitazione ai nostri amministratori. Che ne è stato della proposta di Dino Cartia – che di Vittorini fu studioso – alla Rete Ferroviaria Italiana, al Comune e alla Provincia di Siracusa per l’intitolazione della Stazione ferroviaria di Siracusa a Sebastiano Vittorini, padre ferroviere di Elio? – quant’è letterario il treno, uno dei tanti legami di Vittorini a un altro grande, Salvatore Quasimodo.

Ci domandiamo poi perché un tour della città alla scoperta dei luoghi dell’autore non rientri nei percorsi turistici? Potremmo anche deplorare il fatto che non si sia concretizzato il progetto di realizzare un museo dedicato ad Elio Vittorini, magari pensando a recuperare la casa natale di Via Vittorio Veneto, già Mastrarua, la storica arteria ortigiana teatro dei primi anni dello scrittore, tra esplorazioni, prime letture ed esperienze di vita e politica.

Un’iscrizione ricorda al passante o al turista distratto – ma i balconi sono corrosi da ruggine e salsedine, fili elettrici e panni stesi confondono marmo e facciata scrostata – che uno scrittore, un grande propugnatore e assertore di libertà lì nacque nell’estate del 1908. Lodevole la posa di una lapide in via Riviera Dionisio il Grande, altro luogo caro a Vittorini, anzi ai Vittorini. Come non pensare a Iole, custode delle memorie familiari, a Demetrio, per tacere di fratelli nonni genitori? Il Parco letterario Elio Vittorini dovrebbe essere una realtà operante oltre che una lodevole intenzione.

Spostiamoci in via Brenta. La Biblioteca della Provincia Regionale di Siracusa è stata intitolata proprio a Vittorini. In un cortile appartato rispetto al traffico di Corso Gelone, i locali della Biblioteca ospitano volumi e pubblicazioni varie. Oltre a custodire tesori pressoché sconosciuti anche agli stessi siracusani: il salotto di casa Vittorini, opere d’arte e ricordi di Vittorini padre e figlio, dello zio artista Pasquale Sgandurra. I testi conservati e fruibili da parte del pubblico sono di diversa tipologia. Una saletta è dedicata proprio alle opere di Vittorini. Un garofano rosso, posto elegantemente su uno dei volumi, è un omaggio sensibile a uno dei capolavori del Nostro.

Un’intera sezione è dedicata alle opere vincitrici delle diverse edizioni del Premio Vittorini. E questo ci riporta al rammarico più cocente: la scomparsa dal panorama letterario di uno dei premi più prestigiosi, legato al nome di scrittori del calibro di Vincenzo Consolo – che lo presiedette per anni con rigore e intuito di critico e prima ancora di penna geniale –, a premiati come Melania Mazzucco o Andrea Camilleri, Silvana La Spina… e potrei citare tantissimi nomi prestigiosi del mondo della scrittura e della cultura in genere accomunati da un premio che costituiva anche un evento, un momento di spettacolo che poneva sotto le luci della ribalta la nostra città.

Pensiamo alla conduzione delle serate di premiazione: Fabrizio Frizzi e Mimmo Contestabile non hanno certo bisogno di presentazione. O agli ospiti musicali, spesso talenti della nostra terra premiati per aver portato in alto e lontano il nome di Siracusa e della Sicilia, come il pianista siracusano Orazio Sciortino.

Siracusa deve molto a figure come quella di Elio Vittorini. Celebrarlo in diverse modalità deve però voler dire molto di più che ricordare un grande personaggio del nostro passato: deve significare investimento sulle nostre risorse culturali in un’ottica moderna, proiettata verso il futuro, senza ripiegamenti su noi stessi ma in una prospettiva di crescita e sviluppo – anche economico, oltre che per quella che intellettuali come Sebastiano Burgaretta chiamano “resistenza culturale” .

Lasciamo parlare proprio Elio Vittorini sul rapporto tra cosa e parola, realtà e scrittura, vita e letteratura: “È in ogni uomo di attendersi che forse la parola, una parola, possa trasformare la sostanza di una cosa. È nello scrittore di crederlo con assiduità e fermezza. È ormai nel nostro mestiere, nel nostro compito. È fede in una magia: che un aggettivo possa giungere dove non giunse, cercando la verità, la ragione; o che un avverbio possa recuperare il segreto che si è sottratto a ogni indagine”. Così nella prefazione a Il garofano rosso. E ancora: “Io non ho mai aspirato <ai> libri, aspiro <al> libro; scrivo perché credo in <una> verità da dire; e se torno a scrivere non è perché mi accorga di <altre> verità che si possano aggiungere, e dire <in più>, dire <inoltre>, ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla…”

Quale il fine più alto dello scrivere, se esiste davvero una “funzione”, più o meno alta che sia, del “mestiere” di scrivere, parafrasando il contemporaneo Pavese? “È l’uomo che mi interessa. La sua felicità. Se noi scrittori non sappiamo portare il nostro contributo a questa felicità vuol dire che il nostro lavoro non ha senso, è inutile”.

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