“La vita invisibile”

“La vita invisibile” è un’antologia uscita a luglio per i tipi di Avagliano Editore: quindici storie di preghiera, pellegrinaggio e miracolo scritte da autori molto diversi tra loro per stile, formazione, convinzioni personali e atteggiamenti individuali nei confronti di questi temi che, diciamolo francamente, sembrano tipici di una certa letteratura “confessionale” o comunque fortemente connotata, quasi settoriale, da relegare negli scaffali “Spiritualità” di una libreria. Niente di più sbagliato: per millenni la letteratura si è confrontata con il baluardo del limite, con il sacro, con i moti dello spirito – e non pensiamo solo agli scrittori cristiani, ebrei o di altre confessioni, ai testi sul misticismo o all’esoterismo, alla patristica, ai commenti ai testi sacri, all’apologetica: cosa resterebbe della letteratura greca e latina senza l’incontro/ scontro con l’invisibile, il trascendente, l’oltre, l’Altro?

Curatrici del testo, Francesca Bonafini e Caterina Falconi, che grazie alle prefazioni e postfazioni e ai cappelletti introduttivi di ogni sezione dell’antologia inquadrano i racconti e delineano il misterioso disegno di un mosaico che sembra formarsi grazie alle quindici storie proposte ai lettori.

“C’è una vita invisibile che dimora in ognuno di noi, credenti o non credenti – spiega Francesca Bonafini nella prefazione del volume –. Custodita con cura oppure respinta e soffocata, è un istintivo moto dell’anima che incarna il desiderio di comprendere un mistero che razionalmente non può essere afferrato, ma che può essere com-preso: preso con sé, accolto nella sua indecifrabilità”.

In queste pagine la preghiera, “richiesta di grazia, di soccorso, di giustizia, di liberazione, di discernimento”, diventa – nei racconti di Carmen Pellegrino (col suo Zeno, etimologicamente lo straniero, l’emarginato, il diverso che rimanda alle periferie esistenziali di cui ci parla papa Francesco, personaggio anche lui di questo racconto “pandemico”), Demetrio Paolin (con gli abissi dell’anima del suo vertiginoso monologo interiore, da cui pure si profonde il grido a un Dio creatore indecifrabile), Mascia Di Marco (con la sua infanzia gravida di rivelazioni) ed Emanuele Ponturo (con la sua natura teatro del mistero e fonte di risposte insieme) ricerca di asilo, supporto, giustizia, litania, ricordo e nostalgia, speranza. Le parole quindi sono riflessione e schermo, barriera contro le brutture, la morte e l’abbandono. “Uno scrittore è un addomesticatore di parole – sottolinea Caterina Falconi –. Riesce a combinarle in un incastro che si avvicina a una pienezza narrativa, ben consapevole che il concetto di pienezza scaturisce dal limite”.

Ed è attraverso le parole che si compie il pellegrinaggio, un viaggio compiuto per espiare il peccato, per chiedere il perdono, per ritrovarsi dopo un “esodo dalle proprie convinzioni“; un viaggio che Beatrice Monroy (con le sue vene ostruite, metafora e concrezione insieme di un’ostruzione dell’anima), Eduardo Savarese (la cui misura sarebbe il romanzo, dato che il suo racconto si muove su suggestioni wagneriane e personaggi concreti e visionari insieme, che meriterebbero un più ampio respiro), Ariase Barretta (con la sua favola-apologo angosciante e surreale), Mariano Sabatini – che racconta una storia (vera ma trasfigurata nella finzione letteraria) su Padre Pio e un Luciano Rispoli cui rende omaggio sotto il velo non troppo spesso di un Lucio Riccioli alle prese col bilancio di una vita e con l’incontro ultimo, evitato, rimandato, simboleggiato da un Calice: un omaggio a un maestro e a un santo misterioso seppure vicino, calice egli stesso di un Dio d’amore cui domandare misericordia – e Caterina Falconi (con i suoi scrittori pellegrini, disillusi eppure pronti a mettersi in discussione, a farsi suggestionare da misteriose presenze, a credere alla fede semplice e salda di un sacerdote ex ballerino ora in carrozzina) hanno intrapreso, per svelarne il recondito silenzio, in scenari da favola, luoghi di Santi, abbazie lontane, terre scure e brulle, in corpi segnati dalla malattia.

La raccolta si chiude con i racconti di Alessandro Zaccuri (anche qui una storia di esclusione e prodigio), Alessandro Morbidelli – che ritrovo, nota personale, dopo le avventure letterarie di Porsche Italia e una deliziosa antologia su animali e mito, mentre qui si confronta con una dolorosa storia di bullismo –, Elisabetta Bucciarelli (con il suo corniciaio che mette a posto quadri e persone), Alessandro Defilippi (alle prese con una novella densa di psicologia, paranormale, filosofia e rivelazioni), Andrea Tarabbia (sua una cronaca drammatica e riflessiva insieme dell’ascesa al Calvario di Gesù e dei suoi compagni di supplizio) e Patrizia Rinaldi (con i suoi frammenti, tessere del puzzle dell’universo che ricapitolano i ricordi) attorno al mistero del miracolo. Quest’ultimo, spesso vissuto come un evento eclatante e fortissimo, molte volte si può celare – secondo le storie qui contenute – in prodigi intimi, nuove consapevolezze, incontri decisivi e scampati pericoli.

Quella vita invisibile che dimora in ognuno di noi diventa, così, una piccola spinta ad andare avanti, a cercare risposte alle tante domande che ci assillano e cullano; diventa un modo per scrivere la propria personalissima preghiera composta attorno a rinnovati bisogni e differenti esigenze. La vita invisibile diventa suono, voce, parola, vita. E in queste pagine la spiritualità diventa qualcosa più alla nostra portata, qualcosa di estremamente grande che può essere compreso, narrato, vestito di una nuova forma. Non è mai facile parlare di ciò che tangibile non è e spesso la fede confonde i confini tra credere e capire, ma la letteratura – esegesi della vita, ermeneutica dell’esistenza – può dare un contributo importante alla visione di tutti.

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