Franca Centaro, fotografa di scena e ritrattista, che vuole “emozionare”

Siculo-romana – a diciassette anni “migra” verso la capitale per via del lavoro del padre –, legata alle radici familiari e alle città della sua vita, ne sfogliamo virtualmente le fotografie e ne leggiamo il blog – che per sua stessa ammissione cura poco – e troviamo una citazione da Paulo Coelho, il riferimento alla “leggenda personale” che ispira ogni “guerriero della Luce”. E “guerriero della Luce” non è un po’ ogni fotografo, che con la Luce etimologicamente scrive una storia, racconta un’emozione?

Dunque è proprio la fotografia la sua “leggenda personale”?

Direi proprio di sì. Io sono stata e sono tante cose: ragioniera commercialista, ho lavorato anche all’Ordine dei Medici… Ma la fotografia non sarebbe stata la mia leggenda personale senza mio padre, Orazio Centaro, funzionario di banca della Cassa di Risparmio ma artista nell’anima: ha ritratto attrici e donne straordinarie come la Melato, Ilaria Occhini, Paola Pitagora e Raffaella Carrà… Io vivevo attraverso lui quest’arte, in particolare quella del ritratto, passavo ore in camera oscura a veder affiorare le immagini dalle bacinelle, a puntinarle…

Come ha iniziato a fotografare?

Proprio mio padre mi ha regalato le prime macchinette… ma all’inizio fotografavo per piacere personale, stimolata anche dagli amici. Poi è arrivato il tango ed è stata la svolta: frequentare le milongas, vedere i sentimenti “danzati”, ascoltare la musica, vedere e riportare tutto questo in una fotografia è stata una grande scuola – per inciso, le luci rosse e verdi, i ballerini in movimento… non è semplice fotografare i tangueri. Ho cominciato così ad affinare la mia tecnica.

Come ha iniziato la sua collaborazione con l’INDA?

Devo dire per caso, se poi il caso esiste. Io fotografo per divertimento, per la soddisfazione di farlo, per mia necessità personale, senza prendermi troppo sul serio, ma qualcuno mi ha detto che le mie sono “foto che hanno cuore”: chi lo avrebbe mai pensato di fotografare gli spettacoli classici?

L’incontro fatale è stato quello con Fernando Balestra, allora sovrintendente Inda, verso il 2005-2006, poi mi è stato affidato un incarico per così dire “esplorativo” finché nel 2010 ho iniziato a documentare con le mie foto le rappresentazioni, che poi sono solo l’apice di un lavoro incredibile, di uno studio pazzesco dietro le quinte, a partire dalle prove a tavolino con lettura del testo – e lì io mi diverto a carpire una smorfia dell’attore, un gesto durante la spiegazione del regista – fino alla consapevolezza che la “cosa” prende forma, che ciò che era grossolano pian piano si smussa. Un lavoro magico.

Qual è il suo approccio come fotografa di scena?

Il mio scopo è emozionare. Io cerco di cogliere l’espressività del volto e del corpo, di capire e carpire. Il mio approccio è umano: io sento, entro molto in empatia con le persone perché ho un carattere socievole anche se sono una timida; non sono invadente né il mio approccio è invasivo, perché per me il fotografo deve essere discreto. Parliamoci chiaro: oggi esistono in commercio macchine con obiettivi pazzeschi; tutti fotografano, grazie ai cellulari… quello che conta in uno scatto sono l’occhio e l’anima di chi fotografa, altrimenti è un artefatto banale.

Chi sono i suoi modelli ispiratori?

A parte i classici come Cartier-Bresson, ho molto ammirato Giovanni Gastel, uomo di una classe unica. Per me esporre delle mie opere a Milano a Palazzo Serbelloni grazie a lui, persona che adoravo che si è materializzata davanti a me donandomi tanto, è stata davvero un’esperienza arricchente.

Molte mie opere sono state pubblicate su periodici nazionali ed esteri e su cataloghi specializzati, ho esposto a Catania, a Noto, a Palazzolo e altrove, ma una delle mostre a cui tengo di più è stata quella a Tor Vergata, Anime e pathos, cui è seguito un dibattito sulle figure femminili; è stata riproposta ad Ortigia: 26 opere, 120 per 150, presso il Museo della ceramica, spazio poco noto in cui mi sono occupata perfino dell’illuminazione…

Vorrei consigliare inoltre – non tanto perché l’ho curata io, ma per il valore culturale dell’operazione in sé – la mostra multimediale presso la sede dell’INDA: “Orestea atto secondo”, organizzata per ricordare le rappresentazioni del 1921, una resurrezione vera e propria del dramma antico a Siracusa dopo la prima guerra mondiale e l’epidemia di spagnola – e non è chi non veda le analogie con la pandemia attuale: “Coefore” ed “Eumenidi” di Livermore nel 2021 come cento anni fa. Si tratta di cinque video montati da me e di foto d’epoca (tratte dall’Archivio Maltese) rifotografate una per una allo scopo di ottenere immagini a 300dpi, quindi ad alta risoluzione – le raccoglie un catalogo Electa.

A proposito di Anime e pathos, molte volte la protagonista delle sue fotografie è la figura femminile.

L’eroina in genere è donna: pensiamo ad Ifigenia, Antigone, Elettra, Medea… e quante attrici ho avuto l’onore di fotografare…

Le rappresentazioni di quest’anno. Come le ha vissute dalla sua prospettiva?

Sembra banale dirlo, ma sono state speciali per motivi particolari e diversi: “Coefore” ed “Eumenidi” con il “magico” Livermore come amo chiamarlo mi hanno permesso di conoscere lo spessore, l’umanità, il genio di un grande regista. Colgo l’occasione per dire che la tragedia è anche spettacolo, che per quanto i puristi storcano il naso oggi lo spettatore deve essere stupito anche con la contaminazione del moderno, nel rispetto del testo – cosa che è avvenuta – e grazie ad attori eccezionali. Ad ogni replica mi piace cogliere espressioni viste da un’altra angolazione, le passioni che si rinnovano ogni sera: non sei mai soddisfatto perché è un lavoro infinito per certi versi…

Che dire poi delle “Baccanti”? Mi è sembrato di assistere ad uno spettacolo del Cirque du Soleil – un plauso ai ragazzi dell’Accademia dell’INDA, bravissimi, meritevoli, instancabili, reduci da prove ai limiti dell’umano. Ad aprile, in tempi diremmo non sospetti, ho seguito fin dalle prime battute il lavoro di regia e ho ottenuto foto spettacolari – gli attori imbracati sulle gru, incredibili i loro movimenti aerei…

E cosa può anticiparci di “Nuvole”?

Sarà l’ottava regia per Antonio Calenda, che ho conosciuto nel 2012, ma per lui sarà la prima commedia. Per me è un ricordo indelebile quello delle sue “Baccanti”, con le allieve della Martha Graham Dance: il cinquanta per cento del mio archivio è costituito proprio dalle immagini di quello spettacolo.

Mi aspetto delle cose notevoli dalla commedia: sarà davvero sorprendente. E poi ci sono attori della levatura di Nando Paone, Galatea Ranzi, Daniela Giovanetti…

Si tratta, per la commedia come per le tragedie, di produzioni importanti. E poi vorrei ricordare il contributo fondamentale di chi non sta in scena… In questo lavoro non ci sono tempi: pensiamo a chi cura le luci o il cambio scena – tutti i giorni! – che va fatto a notte fonda, pensiamo ai macchinisti, alle sarte che lavorano almeno da dicembre-gennaio…

Quando la stagione termina è come scendere da una giostra meravigliosa e rientrare nella quotidianità dopo un vortice di sensazioni. Comunque, oltre alle produzioni INDA rappresentate a Siracusa, ci sono quelle legate a “Teatri di pietra” o a “3drammi”: uno spettacolo molto interessante è la “Fedra” per la regia di Manuel Giliberti, con Viola Graziosi e Graziano Germano Piazza, oltre alla “Medea” di Seneca interpretata e diretta da Carmelinda Gentile.

Insomma, un’estate all’insegna della classicità.

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