IRLANDA, 2013: QUANDO LA CONVENTION DI CITTADINI E POLITICI FECE LA STORIA

Uno dei problemi della democrazia elettorale – quella dei partiti, per intendersi – è il suo essere prigioniera della ricerca continua del consenso. Ciò la costringe, da un lato, ad agire secondo una logica di breve periodo, e dall’altro a non affrontare grandi temi e questioni che, pur riguardando tutti o un’ampia fetta dei cittadini e dell’elettorato, potrebbero portare a una perdita di voti.

Questo è il motivo principale per cui nel 2012, in Irlanda, i due partiti della maggioranza di governo decisero di affidare la riforma di alcuni grandi temi toccati dalla Costituzione – tra cui, ad esempio, il matrimonio tra persone dello stesso sesso – ad una “Convention on the Constitution” (Convenzione sulla Costituzione) composta da 66 cittadini sorteggiati e 33 parlamentari.

OPPORTUNISMO O LUNGIMIRANZA?

Già nel 2011 un gruppo di accademici irlandesi, seguendo le orme di quanto stava accadendo in Belgio con il processo deliberativo denominato G1000, aveva organizzato un’Assemblea dei Cittadini con l’intento di dimostrare alle élite politiche l’utilità di approcci partecipativi.

E questa utilità fu compresa appieno! Per i partiti di governo la Convention rappresentò infatti un modo perfetto di affrontare indirettamente alcune grandi questioni “difficili”, divisive, valoriali; come appunto i matrimoni omosessuali.

Ma c’è di più. La Convention e i suoi esiti si tradussero addirittura in un’importante vittoria politica per i due partiti che l’avevano voluta. Secondo il mandato affidato dal Parlamento irlandese alla Convention, infatti, alcune raccomandazioni di riforma sarebbero dovute passare, previa accettazione del governo, da un referendum. Fu così che il referendum del 22 maggio 2015, che introdusse in Irlanda i matrimoni egualitari col 62% dei consensi, si configurò non soltanto come una vittoria della Convention – che aveva approvato la riforma con l’80% dei consensi interni – ma anche del governo, padrino tanto della Convention quanto del referendum.

Ma andiamo con ordine…

LA CONVENTION: UN’ASSEMBLEA DEI CITTADINI “PARTICOLARE”

Nel luglio del 2012 il Parlamento irlandese istituì la Convention, che prese il via a gennaio 2013 e si concluse nel marzo dell’anno successivo.

Rispetto alle esperienze di Assemblee dei Cittadini realizzate in Canada e Belgio alcuni anni prima, per la Convention fu presa una scelta originale, innovativa, mai sperimentata fino ad allora: far sedere accanto, in uno stesso organo deliberativo, cittadini comuni e politici di professione, parlamentari. Non in parità numerica però. Infatti, dei 99 membri della Convention, due terzi furono cittadini e un terzo parlamentari. I 66 cittadini venero scelti da una società di sondaggi con campionamento casuale stratificato, in modo da essere socio-demograficamente rappresentativi della popolazione irlandese per genere, età, area di residenza e status socioeconomico. I 33 parlamentari furono scelti dai vari partiti ed inviati alla Convention proporzionalmente alla loro presenza in Parlamento.

Nei processi deliberativi precedenti, i politici non erano mai stati inclusi come partecipanti; benché fosse stato concesso loro uno spazio per presentare le proprie idee e visioni ai cittadini membri delle Assemblee. Non a caso, la scelta del Parlamento irlandese creò all’epoca (e creerebbe tuttora) non poco scetticismo. Il rischio era quello di creare asimmetrie tra i partecipanti in termini di capacità oratoria (seppur mitigata dai facilitatori di tavolo), competenze, informazioni ecc. Tuttavia, i timori iniziali secondo cui i parlamentari avrebbero dominato le discussioni non si verificarono. Anzi, l’esperimento si dimostrò doppiamente interessante. Per i politici, perché ebbero l’opportunità di ascoltare la voce di cittadini comuni (non loro elettori!). Per i cittadini, che in molti casi dichiararono di aver cambiato opinione sulla categoria “parlamentari” e di aver apprezzato le conoscenze di quest’ultimi, utili per la deliberazione dei gruppi. In altre parole, l’esperienza servì agli uni ad abbattere parte dei loro pregiudizi verso gli altri, e viceversa.

I NUMERI DELLA CONVENTION

La Convention si riunì 12 volte, nel fine settimana, lungo 14 mesi.

Il Parlamento ne fissò in parte l’agenda indicando 8 temi da affrontare, mischiando temi per così dire “freddi”, poco sentiti – quali la durata del mandato del Presidente della Repubblica o il sistema elettorale della Camera – ed altri decisamente più “caldi”, come il matrimonio tra persone dello stesso sesso o il ruolo della donna nella società e in politica. A questi si aggiunsero altri due temi proposti dalla società civile attraverso un ampio processo aperto ed inclusivo caratterizzato da 9 incontri sparsi in tutto il Paese tra i membri della Convention e cittadini irlandesi.

Tutti gli incontri della Convention ebbero la stessa struttura, caratterizzata da sei fasi: brevi presentazioni di 15 minuti l’una in plenaria da parte di esperti sul tema in discussione nello specifico incontro; sessione di domande-risposte; discussione per sottogruppi; presentazione in plenaria delle riflessioni dei vari gruppi; definizione del quesito della votazione; votazione segreta sul quesito. L’intero processo fu visibile in tutto il Paese grazie alla trasmissione in diretta streaming delle sessioni plenarie, mentre i lavori in gruppi vennero tenuti riservati per evitare che le discussioni fossero influenzate e per consentire ai parlamentari membri della Convention di non subire pressioni dai rispettivi partiti.

Per essere un processo istituzionalizzato, ovvero deciso e implementato da Parlamento e governo, rispetto alle esperienze canadesi e olandese di qualche anno prima la Convention irlandese ebbe un costo molto più contenuto, pari a 900.000 euro. Ovviamente ciò comportò dei limiti, come il non poter rivolgersi ad esperti internazionali, non poter offrire servizi come il baby-sitting né un compenso ai partecipanti, se non un rimborso dei costi di viaggio ed alloggio.

 

PERCHÉ LA CONVENTION FECE LA STORIA

Il successo del referendum del 22 maggio 2015 sull’introduzione del matrimonio omosessuale in Irlanda, un paese cattolicissimo, ebbe una notevole eco internazionale. In particolare, attirò l’attenzione di molti studiosi e accademici sull’efficienza di processi deliberativi così capaci di includere e coinvolgere cittadini comuni, informarli, mettere questi in una condizione di dialogo, confronto e responsabilizzazione, specie su questioni delicate, valoriali, etiche.

Pertanto, se le esperienze in Canada avevano dimostrato che con i cittadini si potevano legittimamente cambiare le regole del gioco politico, come le norme costituzionali e le leggi elettorali, il caso irlandese testimoniò che anche i “grandi temi” di portata nazionale potevano ed anzi dovevano essere affrontati (anche) da comuni cittadini. Sollevando almeno in parte da questo “peso” le forze politiche, sempre più attaccate alla ricerca di un consenso a breve termine che spesso impedisce loro di assumersi la responsabilità di scelte coraggiose e divisive.

Infine, l’idea di affiancare cittadini comuni e politici produsse alcuni risultati interessanti che, tuttavia, quasi nessuna esperienza successiva di Assemblea dei Cittadini ha voluto replicare. Quasi…

Samuele Nannoni

Coordinatore ODERAL – Organizzazione per la democrazia Rappresentativa Aleatoria (www.oderal.org) Tesoriere dell’associazione Politici Per Caso (www.politicipercaso.it)

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