L’ASSEMBLEA DEI CITTADINI IN COLUMBIA BRITANNICA (CANADA) DEL 2004: DOVE TUTTO EBBE INIZIO

La cosiddetta “democrazia deliberativa”, oltre ad avere notoriamente origini molto antiche, millenarie, è per così dire “risorta” negli anni ’90 del secolo scorso, negli Stati Uniti.

Per un decennio è stata caratterizzata da processi partecipativi, poi diffusisi in tutto il mondo, che riunivano i cittadini di città, regioni e Paesi per approfondire collegialmente specifici temi, informarsi, confrontarsi, dibattere e infine, appunto, deliberare. Ovvero, arrivare a soluzioni e proposte condivise. Sono stati gli anni in cui è nato il famoso bilancio partecipativo, sorto a Porto Alegre, in Brasile, ed esportato poi in molti Stati.

La maggior parte di questi processi era accomunata da alcune semplici caratteristiche. Come la selezione tramite sorteggio delle persone – per evitare che a partecipare fossero soltanto i più interessati, i meno timidi – e la strutturazione degli incontri in piccoli gruppi moderati da facilitatori professionisti.

Ma nel 2004, in Canada, avvenne qualcosa che cambiò per sempre il modo di fare e intendere la democrazia deliberativa. Nella Columbia Britannica, uno degli Stati federati canadesi (o “Province”, come li chiamano loro), si tenne quello che ancora oggi è definito “il più ampio processo deliberativo intrapreso nel mondo in tempi moderni”.

Questo processo si caratterizzò per almeno 4 elementi centrali, che in seguito si rivelarono la chiave del successo di questo “nuovo modello”, quello delle Citizens’ Assembly o “Assemblee dei Cittadini”. Vediamoli insieme.

Un processo istituzionalizzato

Nel 2004 il governo della Columbia Britannica, uno Stato di 4,4 milioni di abitanti – al pari dell’Emilia-Romagna – decise di affidare la riforma del sistema elettorale ad uno speciale organo composto interamente da cittadini selezionati con campionamento casuale. Il disegno di questo organo fu affidato ad una speciale Commissione del Parlamento e venne denominato “Citizens’ Assembly on Electoral Reform”, ovvero “Assemblea dei Cittadini sulla Riforma Elettorale”.

Si trattò pertanto di un processo istituzionalizzato, deciso dal governo e gestito dal Parlamento, che prevedeva oltretutto che le proposte finali dell’Assemblea sfociassero in un referendum popolare.

Un solo tema, e che tema!

L’oggetto dell’Assemblea era uno ed uno soltanto: la riforma delle regole elettorali. Per un anno, lungo 12 incontri, i cittadini membri dell’Assemblea lavorarono a quest’obiettivo: dare un nuovo sistema elettorale alla Columbia Britannica.

Fu una scelta molto interessante da parte del governo quella di affidare proprio questo tema ad un organo composto da cittadini comuni. Interessante innanzitutto perché con questo esperimento la democrazia deliberativa veniva posta al servizio di quella elettorale. Ma non solo. Così facendo, la classe politica ammetteva in qualche modo “i propri limiti” nell’affrontare seriamente un tema che la toccava così da vicino. La modifica delle regole elettorali, infatti, è un’impresa per la quale i partiti politici sono sempre in una condizione di ampio conflitto di interessi. Invece di cercare di servire l’interesse comune con una legge che prescinda dai rapporti contingenti di forza dei partiti e che possa durare negli anni, i politici si chiedono in continuazione in che misura un nuovo sistema rischi di danneggiarli. La logica di breve periodo ha pertanto la meglio su quella di lungo periodo.

Per questo, affidare il disegno della nuova legge elettorale ai cittadini apparve la scelta più saggia!

Un ampio campione rappresentativo

L’Assemblea dei Cittadini sulla Riforma Elettorale si compose di 160 persone selezionate con campionamento casuale sociologico. Ovvero, un sistema teso a creare un gruppo di cittadini che rappresentasse il più possibile la popolazione per genere, età e residenza. La composizione finale dell’Assemblea presentava infatti un uomo e una donna da ciascuna delle 79 circoscrizioni elettorali della Columbia Britannica, più due membri in rappresentanza delle popolazioni aborigene dello Stato.

Mai prima di allora un processo deliberativo aveva conosciuto un campione così ampio di cittadini!

Il reclutamento dei membri dell’Assemblea avvenne in tre fasi.

  • La prima fu il sorteggio totalmente libero e casuale di 15.800 cittadini dalle liste elettorali, cui fu inviato un invito scritto per posta a partecipare ad una riunione informativa su cosa fosse la “Citizens’ Assembly on Electoral Reform”.
  • Seguì la fase di cosiddetta autoselezione: tutti coloro che accettarono l’invito e parteciparono alle riunioni informative sparse per lo Stato furono invitati a confermare o no la loro disponibilità a prendere parte al processo come membri dell’Assemblea.
  • Infine, tra tutti coloro che avevano confermato il loro interesse, si tenne il sorteggio definitivo del campione dei 160 cittadini, perseguendo come già detto un bilanciamento per genere, età e residenza.

Un processo lungo e ben strutturato

I 160 membri dell’Assemblea si incontrano 12 volte, una volta al mese, per un anno, il sabato.

Nei primi sei mesi si tenne la cosiddetta “fase chiusa” dell’Assemblea, durante la quale i cittadini membri si interfacciarono con accademici e esperti di sistemi elettorali per arrivare così alla costruzione di una consapevolezza del tema ed una competenza dei cittadini il più possibile neutrale, esaustiva e a 360°.

Nei sei mesi successivi, invece, i ruoli si invertirono. I membri dell’Assemblea divennero essi stessi moderatori in 56 eventi aperti al pubblico sparsi in tutto lo Stato, dove ebbero l’opportunità di ascoltare e confrontarsi con centinaia di cittadini e vari gruppi, comitati e associazioni della società civile a sostegno chi di un modello elettorale chi di un altro.

Una durata così ampia dell’Assemblea consentì la definizione di un processo altamente strutturato, ben definito in tutte le sue fasi, capace di dare il tempo alle persone coinvolte di entrare realmente in confidenza col tema, diventarne in una qualche misura dei “mini-esperti”, poter sviluppare idee e proposte innovative.

Come tutte le Citizens’ Assemblies che in questi 16 anni si sono susseguite in giro per il mondo, si trattò di un processo anche pedagogico, in grado di indurre determinati comportamenti o attitudini nelle persone. Come la propensione all’ascolto, al dialogo senza prevaricazione e al rispetto reciproco.

I membri dell’Assemblea lavorarono sia in plenaria che in sottogruppi.

Dopo le sessioni formative e di confronto con gli esperti in plenaria, nei sottogruppi prendeva via la cosiddetta “fase ideativa”, dove nascevano le proposte. Tutti i partecipanti sedevano attorno a tavoli rotondi (un dettaglio importante nei processi partecipativi, che agevola l’interazione) assistiti da un facilitatore professionista, detentore del delicato compito di moderare il dibattito e gestire le dinamiche interpersonali. Si tornava poi in plenaria per lasciare che ogni sottogruppo presentasse le proprie discussioni e si procedesse alle votazioni.

Pregi e difetti

Come detto, la Citizens’ Assembly on Electoral Reform della Columbia Britannica viene riconosciuta un po’ come la capostipite di questo innovativo strumento di democrazia deliberativa definito appunto “Assemblea dei Cittadini”. Un modello al quale molte se non tutte le successive esperienze si sono ispirate. Un modello complesso, forse troppo. Tanto complesso da risultare in molte occasioni non replicabile.

Uno dei limiti, se vogliamo, è proprio uno dei suoi punti di forza: la lunghezza del processo. Perché, inutile negarlo, la politica dei nostri tempi spesso chiede tempi brevi, decisioni rapide. Non che questo sia un bene, anzi. Spesso rapidità e qualità non fanno rima. A tal proposito, a detta di molti commentatori del tempo fu impressionante la precisione e la ricchezza argomentativa con cui i rapporti finali dell’Assemblea, redatti dai cittadini membri, si mostravano a favore di un’opzione piuttosto che di un’altra. Una piena testimonianza di come cittadini comuni scelti casualmente, se posti nelle giuste condizioni, se stimolati ad informarsi e a lavorare per il benessere collettivo, siano capaci di prendere decisioni oculate, sensate e razionali. Sta di fatto, che quasi tutte le decine di Citizens’ Assemblies realizzate nel mondo dopo il 2004 hanno ridotto notevolmente la durata del processo, portandola al massimo alla metà esatta, sei mesi.

Un altro punto di forza di quell’esperienza che si è rivelato però un punto debole per la sua esportazione è il costo. L’Assemblea dei Cittadini della Columbia Britannica costò allo Stato 4,1 milioni di euro; una cifra notevole, senza dubbio! Tuttavia, tutto sta nel potersela permettere. Come vedremo in seguito, le varie Citizens’ Assemblies istituite in Irlanda hanno avuto costi molto più contenuti, mentre la Convention Citoyenne pour le Climat realizzata in Francia nel 2019-2020 ha avuto un budget totale messo a disposizione dal governo Macron pari a 5,4 milioni di euro.

Ovviamente, gli alti costi permisero alla Columbia Britannica di offrire una serie di servizi ai membri dell’Assemblea che molte altre esperienze successive non si sono potute permettere – o si sono potute permettere soltanto in parte – come un compenso pari a 110€ per ogni sabato di lavori, un rimborso spese per i viaggi, pasti offerti e un servizio di baby-sitting.

Gli sviluppi successivi: il referendum, l’Ontario, MASS LBP

Il report finale dell’Assemblea fu consegnato al governo e ai cittadini della Columbia Britannica il 10 dicembre 2004. L’Assemblea fu sciolta e ciò fu un grave errore. Forse l’unico neo di questa prima grande Citizens’ Assembly che ha fatto la storia. Un errore che le si può perdonare, essendo stata la prima, ma che non si può perdonare ad altre esperienze più recenti che hanno continuato a commetterlo.

Il 17 maggio 2005, ben cinque mesi dopo il termine del processo, si tenne il referendum per chiedere ai cittadini dello Stato se volessero approvare il sistema elettorale disegnato dall’Assemblea. Il referendum passò con il 57,7% dei voti a favore. Purtroppo, il governo aveva deciso che la riforma sarebbe stata approvata soltanto con almeno il 60% dei consensi. Essa non trovò pertanto seguito.

Ma perché fu un grande errore sciogliere l’Assemblea così tanti mesi prima del referendum? Semplice, perché da quel momento il report finale e la proposta di sistema elettorale proposto dall’Assemblea vennero dati in pasto ai partiti politici e ai media, passarono totalmente nelle loro mani e poterono disporne come meglio credevano. Vari partiti ebbero interesse a screditare la proposta o semplicemente ad ignorarla, giacché avrebbe pregiudicato in parte il loro potere. E i media commerciali mantennero per lo più un atteggiamento ostile nei confronti dell’Assemblea dei Cittadini indipendentemente dalla proposta. Di contro, l’Assemblea era priva di portavoce esperti che potessero tenere testa ai media né tantomeno aveva a disposizione una quota del budget per la comunicazione e il “marketing” della proposta. Cosa sarebbe dovuto andare diversamente dunque? Avrebbero dovuto mantenere in vita l’Assemblea fino al referendum, dando ai suoi membri in quei cinque mesi il compito di presentare, spiegare, illustrare a tutti i cittadini la proposta di sistema elettorale emersa. I cittadini avrebbero dovuto spiegare ai cittadini la riforma, non i partiti o i media.

Un anno più tardi, nel 2006, anche un’altra provincia canadese, l’Ontario, decise di intraprendere lo stesso percorso. A fronte di una popolazione tre volte superiore a quella della Columbia Britannica (13 milioni), fu scelto tuttavia di ridurre il numero dei membri dell’Assemblea dei Cittadini a 103. L’esperimento fu anche più breve, 9 mesi anziché un anno, ma costò di più – 4,5 milioni a fronte dei 4,1 della Columbia Britannica. È interessante notare che i cittadini dell’Ontario scelsero un altro sistema elettorale rispetto a quello della Columbia Britannica. Una testimonianza che la deliberazione non è una manipolazione che mira a orientare le scelte in una direzione predeterminata. Purtroppo, l’esito del referendum fu ancora più deludente: solo il 36,9% degli elettori espresse un voto favorevole alla riforma.

Al netto di queste due esperienze, il Canada può considerarsi uno stato pionieristico nel campo della democrazia deliberativa e dell’utilizzo di strumenti come le Citizens’ Assembly!

Sempre nel 2006 è nata un’organizzazione chiamata MASS LBP direttamente sostenuta dal governo centrale, che in 14 anni ha realizzato più di 36 processi deliberativi di varia natura e dimensione promossi dalle istituzioni, coinvolgendo oltre 1.400 canadesi e 420.000 famiglie.

 

Per approfondire…

https://citizensassembly.arts.ubc.ca

https://www.youtube.com/watch?v=MoPgLsSvV8g

https://www.youtube.com/watch?v=IIzUH9Bhyk8

 

Samuele Nannoni

Coordinatore ODERAL – Organizzazione per la democrazia Rappresentativa Aleatoria (www.oderal.org)

Tesoriere dell’associazione Politici Per Caso (www.politicipercaso.it)

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