Edipo Re: tragedia fondativa della civiltà occidentale, mito visitato dalla psicanalisi

Edipo Re: tragedia fondativa della civiltà occidentale, mito visitato dalla psicanalisi, potente metafora della hybris punita, delle crepe della ragione e degli abissi dell’animo.

Questa messa in scena di Robert Carsen è all’insegna della nudità: nudità della scena, nudità della parola senza lenocinio di canto, nudità del colore, ridotto all’essenzialità degli estremi (il bianco e nero dei costumi di Luis F. Carvalho, dei guanti dei servi-messaggeri-portaborse, del lenzuolo-sudario di Edipo e Giocasta, della cintura della regina, del suo abito che ne diventa la sineddoche, la spoglia, la presenza-assenza, degli abiti-corpi dei Tebani uccisi dalla misteriosa epidemia, sinistra rievocazione delle vittime del Covid), nudità di Edipo bambino consegnato a un destino di morte e poi nudità di Edipo adulto spogliato del potere, del raziocinio, della baldanza arrogante, di ogni sicumera, di tutti gli orpelli del potere per ricongiungersi – ciclo di vita, spirale di violenza che genera nuovi mali – al sé-bambino abbandonato.

La parola riprende prepotentemente la scena, grazie anche alla traduzione di Francesco Morosi.

Il silenzio, ieratico, tragico in ogni senso, pausa e dà sostanza alle voci, riempie di senso il vuoto della ragione e scava nell’angoscia individuale e collettiva.

Impattante la scalinata altissima, scabra, essenziale che riempie la scena – i Palazzi del potere, le piazze delle adunate oceaniche di folle acefale, i gradini da allucinazione kafkiana: queste le suggestioni evocate dal lavoro di Radu Boruzescu.

Giuseppe Sartori, non nuovo al lavoro anche estremo sul corpo dell’attore, rende in maniera asciutta, misuratissima, giusta il progressivo disvelamento del vero tragico, fino all’epilogo nudo, terrificante, della razionalità falsamente “vedente” ora accecata, della luce di giustizia e verità ora spenta, del viaggio avventuroso, dell’impresa eroica ora penitente pellegrinaggio, dell’indagine quasi da giallo ante litteram finita in noir, in horror quasi splatter, dove il detective si scopre assassino, l’inquisitore sospettato e colpevole, il giudice condannato; la Giocasta di una straordinaria Maddalena Crippa è affettuosa madre-amante-sposa, dalla voce sinuosa, regale e morbida insieme nelle movenze, fino all’ultimo chiusa alla verità cui ostruisce prima mentalmente e simbolicamente, poi fisicamente il passaggio con la sua tragica fine; Paolo Mazzarelli incarna un moderno Creonte, a metà fra l’uomo d’affari e il membro di una dinastia dei cui onori godere ma dalle responsabilità cui demagogicamente sfuggire, al contrario di Edipo, simbolo del buon governo nonostante la spada di Damocle del suo destino; l’ottimo Graziano Piazza è un Tiresia raziocinante e “posseduto” insieme, dai toni e timbri dosati armonicamente; perfettamente in parte il servo di Laio Antonello Cossia, così come il primo e secondo messaggero (Massimo Cimaglia e Dario Battaglia).

Un plauso particolare va non solo al capocoro Rosario Tedesco e alla corifea Elena Polic Greco, tra l’altro responsabile del coro, ma appunto al coro di Tebani, dai movimenti coordinati, fluidi, energici, sincronizzati nelle battute, una vera e propria massa (intesa anche metaforicamente: popolo-massa ora plaudente ora dissenziente, ora dolorante ora furente) fisica, visiva e sonora: il lavoro di Marco Berriel ha costruito coreografie simboliche ed eleganti, sicuramente d’effetto.

Vale la pena nominarli tutti – la coralità implica un lavoro di gruppo in cui la totalità è superiore alla somma delle parti e l’apporto delle individualità è fondamentale -: Giulia Acquasana, Caterina Alinari, Livia Allegri, Salvatore Amenta, Davide Arena, Maria Baio, Antonio Bandiera, Andrea Bassoli, Guido Bison, Victoria Blondeau, Cettina Bongiovanni, Flavia Bordone, Giuseppe Bordone, Vanda Bovo, Valentina Brancale, Alberto Carbone, Irasema Carpinteri, William Caruso, Michele Carvello, Giacomo Casali, Valentina Corrao, Gaia Cozzolino, Gabriele Crisafulli, Simone D’Acuti, Rosario  D’Aniello, Sara De Lauretis, Carlo Alberto Denoyè, Matteo Di Girolamo, Irene Di Maria di Alleri, Corrado Drago, Carolina Eusebietti, Lorenzo Ficara, Manuel Fichera, Caterina Fontana, Enrico Gabriele, Fabio Gambina, Enrica Graziano, Giorgia Greco, Carlo Guglielminetti, Marco Guidotti, Lorenzo Iacuzio, Ferdinando Iebba, Lucia Imprescia , Vincenzo Invernale
Althea Maria Luana Iorio, Elvio La Pira, Domenico Lamparelli, Federica Giovanna Leuci, Rosamaria Liistro, Giusi Lisi, Edoardo Lombardo, Emilio Lumastro, Matteo Magatti, Roberto Marra, Carlotta Maria Messina, Moreno Pio Mondì , Matteo Nigi, Giuseppe Orto, Salvatore Pappalardo, Marta Parpinel, Alice Pennino, Edoardo Pipitone, Gianvincenzo Piro, Bruno Prestigio, Maria Putignano, Riccardo Rizzo, Francesco Ruggiero, Rosaria Salvatico, Jacopo Sarotti, Mariachiara Signorello, Flavia Testa, Sebastiano Tinè, Francesco Torre, Francesca Trianni, Gloria Trinci, Damiano Venuto, Maria Verdi, Federico Zini, Elisa Zucchetti.

Ricordiamo naturalmente anche Ian Burton per il suo lavoro di drammaturgia, Giuseppe Di Iorio che insieme al regista ha disegnato le luci di scena, il regista assistente Stefano Simone Pintor, le musiche di scena essenziali, scarnificate, “nude” anch’esse, di Cosmin Nicolae, i direttori di scena Angelo Gullotta e Carlotta Toninelli, il coordinatore degli allestimenti Marco Branciamore, la responsabile di sartoria Marcella Salvo, il coordinatore audio Vincenzo Quadarella, Aldo Caldarella responsabile trucco e parrucco e tutte le maestranze Inda.

Photo credits: Franca Centaro

 

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