Quando Salvo Benanti diffamò La Civetta

Al Tribunale di Siracusa depositate le motivazioni della condanna a sei mesi di reclusione, pena sospesa, inflitta al direttore de  I Fatti della Domenica  ritenuto colpevole del reato di diffamazione a mezzo stampa per alcune affermazioni contenute in un suo articolo del 2014. Frasi che avrebbero avuto lo scopo di danneggiare l’immagine giornalistica di Franco Oddo, all’epoca direttore del periodico La Civetta di Minerva, costituitosi parte civile nel processo. Si trattò anche di uno dei tentativi, sferrati da più parti, di screditare l’inchiesta del nostro giornale sulla rete di società e sulle relazioni con ambienti giudiziari imbastite dall’avvocato Piero Amara. Per quell’inchiesta l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia nel 2012 assegnò a La Civetta il Premio Mario Francese.      

Lo scorso aprile (ne diamo notizia adesso perché avevamo deciso di aspettare che fosse depositata in cancelleria la motivazione completa della sentenza) il giudice monocratico del Tribunale di Siracusa, dottor Andrea Pino, ha condannato Salvo Benanti a sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita da liquidarsi in separata sede civile, e al rimborso delle spese processuali sopportate dalla parte civile per complessivi 3.420,00 euro (oltre alle spese generali 15% di Iva e Cassa previdenza avvocati). All’imputato è stata inoltre comminata la condanna al pagamento di una provvisionale di 8.000 euro immediatamente esecutiva.

Condanna, in primo grado di giudizio, alla quale si è arrivati dopo 8 anni dalla querela presentata da Franco Oddo nei confronti di Benanti che, nel numero del 23 febbraio 2014 de I Fatti della Domenica, aveva pubblicato in prima pagina e con grande evidenza un proprio articolo dall’imperativo titolo “Restituite il Premio Francese”, rafforzato da tre righe di sommario tendenziose: “Alla luce dell’ultima sentenza, Oddo e compagni della Civetta non dovrebbero chiedere scusa a Rossi e agli altri magistrati e avvocati? Non dovrebbero restituire la medaglia avuta con un po’ di vergogna?”. Più grave l’affermazione contenuta all’interno dell’articolo “Dietro La Civetta sicuramente menti ed ambienti ben identificabili, ben potenti e senza scrupoli”.

Non fu questo l’unico tentativo (fallito come gli altri) di denigrare l’inchiesta giornalistica intitolata “Le relazioni pericolose nella Procura di Siracusa”, sulla rete di società riconducibili all’avvocato Piero Amara e sulle possibili commistioni d’interessi fra alcuni magistrati e alcuni avvocati, che nel 2012 valse a La Civetta di Minerva il premio dedicato alla memoria del cronista Mario Francese, istituito e attribuito annualmente dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia. Premio che venne consegnato a Franco Oddo e Marina De Michele, autori di quell’inchiesta, realizzata “da un piccolo giornale locale cartaceo e online (…) con coraggio e insistenza, nonostante l’atteggiamento ostile di altre testate” – fu scritto, fra l’altro, nella motivazione del premio.

Testate ostili, fra cui per l’appunto I Fatti della Domenica,  che sin dal primo momento si schierarono dalla parte dei vertici della Procura, sostenendo la teoria del complotto che sarebbe stato ordito contro gli stessi e attuato  mediante una campagna stampa diffamatoria. Teoria che si sarebbe rivelata assolutamente falsa, smontata nel tempo anche dalle diverse sentenze di archiviazione e/o di assoluzione di giornalisti (compreso chi scrive) ed altre persone coinvolti nei procedimenti giudiziari intentati dall’ex procuratore capo Ugo Rossi e dall’ex sostituto procuratore Maurizio Musco.

Ma torniamo a Salvo Benanti e a quel suo articolo pubblicato il 23 febbraio 2014, che andrebbe segnalato alle scuole di giornalismo come esempio sgangherato di fake news. Qualche giorno prima, esattamente l’11 febbraio 2014, il Gip del Tribunale di Messina aveva assolto tre magistrati della Procura di Siracusa Ugo Rossi, Maurizio Musco, Roberto Campisi e l’ispettore di polizia giudiziaria presso la Procura, Giancarlo Chiara, dai reati loro contestati, principalmente quello di abuso d’ufficio,  nell’ambito di alcuni procedimenti giudiziari.

Una notizia che su I Fatti Benanti trasformò in questo modo: “I magistrati – il dottor Rossi innanzi tutto – coinvolti nella vicenda giudiziaria… sono stati assolti! Le accuse del periodico Civetta (che aveva ripreso per questo, miracolo!!, le sue pubblicazioni) sulle quali ‘I Fatti’, in totale solitudine, avevano espresso fondatissime riserve, si sono dissolte, come era giusto che fosse, come neve al sole”, lasciando intendere che l’assoluzione, così genericamente riportata, riguardasse l’inchiesta giornalistica de La Civetta. Il che non era vero.

E infatti scrive il giudice nelle motivazioni dell’attuale condanna a  Benanti:  L’addebito rivolto alla persona offesa è quello di dovere chiedere scusa ai magistrati, a seguito della sentenza di assoluzione n. 59/2014 resa dal GIP presso il Tribunale di Messina, ed inoltre di dovere restituire il premio con un po’ di vergogna, sebbene le inchieste del giornale La Civetta non riguardassero i fatti-reato per i quali vennero giudicati i magistrati in parola, ma la vicenda ‘veleni a Siracusa’ per incompatibilità ambientale, che aveva indotto la giuria del premio Francese al conferimento del riconoscimento; e cioè contrariamente al vero, in buona sostanza tale sentenza venne utilizzata consapevolmente (da Salvo Benanti ndr) per danneggiare l’immagine giornalistica della persona offesa  (Franco Oddo ndr) , onde tali affermazioni hanno complessivamente un carattere diffamatorio”.

Parimenti dicasi per la frase ‘Dietro La Civetta sicuramente menti ed ambienti ben identificabili, ben potenti e senza scrupoli’, che chiaramente ha valenza altamente diffamatoria, poiché l’accusa rivolta da ‘I Fatti della domenica’ è infamante, ledendo l’onore e la dignità del giornalista”.

Ed ancora rimarca la sentenza L’atteggiamento del Benanti e segnatamente le accuse sopra richiamate, vanno al di là del diritto di cronaca o di critica, costituzionalmente garantito, e si sostanziano in una accusa diretta nei confronti di Oddo, lasciando intendere che il di lui operato fosse stato in qualche modo pilotato o concertato, al di là di quello che era il suo profilo professionale e di giornalista qualificato, onde l’impianto accusatorio ha trovato piena conferma nell’istruttoria dibattimentale”.

Va poi ricordato che quella sentenza di assoluzione del 2014, successivamente venne parzialmente modificata dalla Corte d’appello-sezione penale di Messina che il 9 dicembre del 2015 condannò per abuso d’ufficio Ugo Rossi e Maurizio Musco, rispettivamente, a un anno ed a un anno e sei mesi di reclusione, pena sospesa. Condanne poi confermate in Cassazione, alle quali si aggiunsero i provvedimenti disciplinari del Csm che riguardo al dottore Musco sarebbero sfociati nella sua destituzione dalla magistratura.

In base a quelle sentenze i due magistrati avrebbero violato consapevolmente il dovere di astensione in alcuni procedimenti giudiziari; in estrema sintesi: il Procuratore Rossi relativamente ad una vicenda nella quale era coinvolto il figlio dell’attuale moglie, procedimento di cui era titolare il sostituto procuratore Marco Bisogni, al quale Rossi affiancò un altro sostituto, Giancarlo Longo, in seguito alle proteste contro Bisogni contenute in esposti dell’avvocato Amara; a sua volta il sostituto procuratore Musco, “attesi gli stretti rapporti di amicizia intercorsi con l’avvocato Piero Amara, di seguito sfociati anche in rapporti di natura economica” avrebbe dovuto astenersi dal ruolo di sostituto procuratore in tre procedimenti penali nei quali “aveva un interesse sostanziale (personale e diretto) l’avvocato Amara”.

Nel frattempo lui, Piero Amara, è diventato un personaggio famoso, protagonista principale di vari procedimenti giudiziari in giro per l’Italia e di un’infinità di articoli e inchieste realizzati da cronisti della carta  stampata, televisiva e on line, più volte arrestato, imputato e altresì testimone cosiddetto collaboratore di giustizia. Il “sistema Amara” che nel tempo si sarebbe sviluppato e diversificato in tanti rivoli e storie di piccola e grande corruzione italiana, in parte non ancora conclusi, è nato in Sicilia. E tutto quello che è successo dopo ha dato ragione a quella prima inchiesta de La Civetta di Minerva, all’intuizione di investigare più a fondo partendo da alcune notizie che aveva pubblicato Magma, un periodico allora edito nella vicina Catania.

Salvo Benanti avrebbe avuto molto tempo a disposizione per chiedere, lui sì, pubblicamente scusa a Franco Oddo, a Marina De Michele e alla redazione de La Civetta.

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