“Munuzzagghi e ratteddi” (Algra Editore). Il nuovo omaggio di Maria Lucia Riccioli alla ‘lingua’ siciliana

Maria Lucia Riccioli, professoressa di Lettere presso il liceo “O. M. Corbino” di Siracusa ed eccellente collaboratrice de La Civetta di Minerva, è feconda autrice: suoi il romanzo storico Ferita all’ala un’allodola (Premio “Portopalo – Più a Sud di Tunisi”, finalista al Caos Festival, segnalato al Premio “Alessio Di Giovanni”, racconto incentrato sulla figura e l’opera della poetessa e patriota netina Mariannina Coffa, oggetto anche di un saggio di imminente pubblicazione), la raccolta di cunti siciliani Quannu u Signuri passava p’ o munnu (Algra Editore), i libri per bambini La bananottera e Chi ha rubato la mia mamma? (VerbaVolant edizioni). In questi giorni è in libreria la sua nuova raccolta “Munuzzagghi e ratteddi” (Algra Editore), poesie sparse in vernacolo siciliano. Già l’immagine del libro rievoca ricordi lontani, di casa, famiglia, comunione, tradizioni nostrane.

Abbiamo chiesto a Maria Lucia di parlarci di questo suo ultimo lavoro.

Perché il titolo “Munuzzagghi e ratteddi”?

I munuzzagghi sono le cose minute, le briciole, e danno testimonianza del testo che è, appunto, una raccolta di frammenti poetici. I ratteddi sono i lavori, spesso compiuti a margine o come secondari, rispetto all’impegno principale. Il titolo dell’opera consente da subito di capire che si tratta di poesie di vari temi, generi e forme. Nati a margine della prima raccolta di cunti, hanno trovato spazio in questa nuova pubblicazione.

Tutto il libro sceglie la lingua siciliana. Perché?

Alcune di queste poesie, traduzioni dall’Italiano al Siciliano, sono state valorizzate proprio attraverso la scelta del nostro dialetto e la sua musicalità in versi endecasillabi in rima baciata; quasi tutte le altre invece vengono concepite nella mia stessa mente in siciliano; infine ci sono i cunti che vengono trasmessi di generazione in generazione proprio in siciliano e così vanno scritti altrimenti la pregnanza linguistica ne risulterebbe fortemente intaccata e il senso, la musicalità, la bellezza sarebbero di certo ridimensionati. Insomma le sfaccettature del nostro siciliano e i significati non si possono rendere con una traduzione in italiano sic et sempliciter. Ecco perché il testo a fronte di ogni poesia e cuntu è semplice trasposizione in italiano dei testi siciliani, traduzione di servizio per chi non conosce il dialetto, mentre quello delle traduzioni letterarie è un necessario riadattamento a un codice differente. I versi che mi nascono dentro trovano la loro vita proprio in siciliano e una trasposizione letterale in italiano non renderebbe minimamente giustizia alla nostra lingua dialettale.

 Il tuo legame con la tradizione della nostra lingua siciliana è fortissimo. Alcune poesie ricordano i tuoi cari, chi ti ha lasciato in dote “proverbi, detti e storie, l’amore e il rispetto per il passato”. Tutte le poesie sono in rima e la maggior parte in endecasillabi. Uno sforzo non indifferente. Quanto hanno inciso i tuoi familiari sul tuo amore per il siciliano e sulla tua formazione?

Io sono nata bilingue. Mia madre mi insegnava la stessa parola in italiano e siciliano. Mia zia Maria Blundo è una poetessa siciliana dialettale. Madre e zia mi raccontavano sin da bambina detti e cunti in dialetto. Molto hanno inciso le radici familiari, i miei cugini emigrati. Ma anche la mia passione per il teatro: ho recitato Martoglio, riscritto testi teatrali. E poi c’è lo studio. Non ho mai perso il legame con la nostra lingua, anzi. Lo coltivo perché lo ritengo una radice portante per tutti i siciliani. Esistono espressioni siciliane così pregnanti che perderebbero il significato tradotte in italiano. Ecco perché la traduzione dei testi e delle poesie di Dante e Leopardi non è letterale ma una “ri-creazione”, al contrario di quella letterale degli altri testi.

 A quali testi siciliani ti sei ispirata e perché?

Martoglio, Buttitta e molti altri ma mi piace anche leggere la poesia contemporanea siciliana: sia testi totalmente siciliani o rivisti come avviene con la lingua di Camilleri. La nostra lingua siciliana è dotata di una musicalità e di una pregnanza lessicale che la rende unica e splendida sempre.

 Diverse poesie sono un legame con la nostra religione cristiana: quanto ha inciso nella tua  formazione?

Già il primo libro di cunti nasceva con forte base morale e religiosa. Di certo il retroterra familiare, la devozione e l’attaccamento religioso alle tradizioni siciliane confluiscono nella mia formazione. Ad esempio mi è venuto spontaneo dedicare versi a santa Lucia ma dapprima ho riletto la sua storia in latino e greco e solo allora ho realizzato il poemetto alla nostra Patrona che è anche omaggio al mondo contadino e alla devozione popolare che, con le sue storie e racconti, con la sua semplicità ma insieme con la sua saggezza, ci ha trasmesso un bagaglio di conoscenza ed un patrimonio non indifferente.

 Maria Lucia, in alcune poesie c’è una forte critica sociale: la gelosia, la caduta dei valori sociali, il disinteresse politico.

È l’impegno sociale che viene dalla tradizione e dal dialetto: la voce popolare che si leva contro soprusi ed ingiustizie. La voce corale del popolo che, usando la lingua dialettale siciliana e la sua pregnanza espressiva, denuncia ciò che non va.

 Alcune poesie come “Cos’è la poesia? Chi è il poeta?” ricordano la funzione di guida che ad esse è attribuita nei secoli. Cos’è oggi per te la poesia?

Oggi abbiamo tanti scrittori e scriventi ma non autori nel significato di “auctoritas” dunque il poeta vate, guida per la società, non è attuale ed in linea con quanto succede nel mondo. Ma la poesia non ha perso la sua funzione: smuove le coscienze, dà voce ai sentimenti del cuore umano. Anche nei momenti di maggiore difficoltà l’uomo cerca l’arte che acquisisce ancor più valore in una società disumanizzata. La poesia è resistenza culturale e politica a tutto ciò che c’è di invasivo perché essa è Umanità e rimette al centro l’uomo e i suoi valori. Ma è anche memoria: salva un mondo che scompare come la nostra società contadina, ormai dimenticata e superata dalla frenesia quotidiana. l siciliano è il codice che la recupera, un modo di salvare un mondo che scompare, un ricordo, una voce, un bisogno, un grido che non si può sopprimere.

 Tra tante poesie una, Haiku, assomiglia alle scelte ungarettiane e quasimodiane ermetiche.

Qual è il significato di questo specifico testo?

La poesia in forma di haiku presenta uno schema 5-7-5. Da quando sono state fatte le prime traduzioni di haiku in Occidente a questo genere poetico si sono ispirati autori come Ungaretti e Quasimodo. Nonostante il buio e la morte c’è sempre una rinascita; questo il senso di quella poesia. Ma l’obiettivo è altro: trasportare la poesia ermetica, giapponese e contemporanea nel siciliano: i dialetti non sono comicità e battuta facile. Il dialetto è lingua con cui produrre poesia contemporanea.

 Del libro ci hanno colpito diversi cunti. Come li hai raccolti e dove?

I cunti vengono anch’essi dalla tradizione orale trasmessa da mia madre e mia zia ma non ho trovato fonti scritte. Recuperare il dialetto non è semplice, così come le biografie e le opere delle minoranze finora neglette: proprio per questo è nato il progetto “La Sicilia delle donne” (con la partecipazione quest’anno della Calabria) con l’obiettivo di valorizzare le donne dimenticate dalla storia. Il filo conduttore di questa edizione è “Donne di carta”: scrittrici, saggiste e poetesse dimenticate. Per il C.S.T.B ho curato la scheda di Tecla Navarra Masi, docente, saggista e critica

letteraria pachinese che ha scritto dei riflessi della rivoluzione francese nel dialetto e nella etteratura siciliana. Uscirà il 28 marzo un video su di lei e poi una guida per i tipi de “Il palindromo” di Palermo, dove si raccoglieranno le schede su queste donne per creare percorsi ulturali e turistici alternativi e inclusivi. Donne oscurate dalla storia che vanno riscoperte, geni al femminile declinati in tutte le espressioni. Un modo per valorizzare figure che altrimenti ricadrebbero nell’oblio. Una rete di donne moderne che riscoprono il passato. Ecco che il recupero del dialetto non è passatismo ma anche progettazione di nuove modalità, creazione di percorsi culturali per tutti, strumento di conoscenza e cultura.

 Passato e presente, lingua e sapere, storia ed attualità passano insomma anche dalla lingua

siciliana e questo per noi… vantu fu.

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