Trischitta e la sua multiforme Catania

Mimmo Trischitta, scrittore, giornalista, drammaturgo e molto altro ancora (vi suggeriamo questo interessante video su Rai Letteratura per dare un’occhiata all’immaginario dell’autore: https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2020/07/La-Catania-di-Domenico-Trischitta-a9d263f6-e4d8-47ad-a5b8-e64a8b4b7291.html) utilizza la scrittura non come esercizio narcisistico, estetica costruzione di un Meridione oleografico, tradizionalista, di facciata oppure che strizzi l’occhio al mainstream sul Sud, ma rivelazione di percorsi esistenziali ed esperienziali, disvelamento di processi sociali e storici,  senza “bellurie” ma densa di Storia e storie.

La sua Catania è quella dei prediletti e frequentati Brancati, Battiato, Sgalambro, Carmen Consoli, ma è proprio la “sua” (come non pensare allo sventramento di San Berillo quasi innalzato a luogo mitico, pozzo della memoria, metafora di un mondo scomparso eppure sempre presente, fantasma carnale e concretissimo?), una Catania multiforme, sotterranea, “diversa”, ritmata dal rock, provincia non provinciale, popolata di personaggi ai margini ma non marginali, portatori di una verità obliqua sulla città stessa, sulla Sicilia, sull’esistenza, sulla contemporaneità indecifrabile ma fonte inesauribile di narrazione che rompe il silenzio.

Il respiro più lungo del romanzo allunga il passo dei racconti – ho molto amato “Le lunghe notti”, assolutamente da recuperare per completare i tasselli di quel puzzle che è la Catania dell’autore – così come i testi teatrali in diversa forma conferiscono nuovi sguardi su quello che globalmente si potrebbe considerare un unico Bildungsroman: un’intera produzione come frastagliato eppure coerente romanzo di formazione.

La Civetta di Minerva ha incontrato per voi Domenico Trischitta.

L’occasione è la riedizione del 2021, per i tipi di Algra Editore (https://www.algraeditore.it/autore/domenico-trischitta/), del romanzo “Una raggiante Catania”, con la prefazione del filosofo Manlio Sgalambro e la postfazione dello scrittore Tommaso Labranca: l’uscita de “La città nera”, sempre edito da Algra, insieme a “Glam City” sembra la sintesi, il termine di un percorso all’inverso aperto dal testo d’esordio di Trischitta.

Il tuo ultimo lavoro chiude un’ideale trilogia:  l’avevi già concepita oppure questo disegno si è formato in itinere?

È un processo che si è formato in itinere: esisteva “La città nera”, romanzo giovanile sepolto e frustrato dall’indifferenza editoriale. Poi, dopo molti anni, il progetto di “Una raggiante Catania”, con la costruzione di uno stile e la battaglia vinta con il pudore. Un romanzo di formazione che diventa epico nel momento in cui si specchia nella città. Poi “Glam city”, che cambia prospettiva e racconta la formazione e la città attraverso il percorso rivoluzionario di un ragazzo diverso. A quel punto era inevitabile che il ciclo della trilogia catanese si chiudesse con il romanzo dell’inizio, la formazione giovanile ed esistenziale dello scrittore.

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Mentre altri autori catanesi sembrano trarre forza e linfa vitale dal vulcano, la tua scrittura di flaneur, flaneur essa stessa, impastata della materia delle basole, dell’intonaco di muri scrostati, sembra nutrirsi della sostanza stessa della città: cosa puoi dirci in proposito?

Mi sento un’escrescenza della mia terra, un pulviscolo che si muove tra i meandri di questa città nera e decadente. Sono cresciuto e mi sono aggirato a lungo nei quartieri popolari. Ne ho respirato i traumi, gli umori, le ataviche pulsioni ferine e primordiali. Tutto questo è stato plasmato dalla mia sensibilità, dall’ascolto ininterrotto di musica rock, come fosse una pratica religiosa che servisse come espiazione per essere cresciuto in periferia. E da lì volevo riprendermi tutto quello che mi ero stato negato. La scrittura per me è ossessione e rivalsa.

Ancora abbiamo negli occhi le immagini di Catania sotto l’alluvione… la crisi economica, il Covid e adesso anche la pioggia. Credi in una “resurrezione” di Catania?

La resurrezione di Catania è un’utopia, è una città sommersa dai rifiuti, dal malaffare, dai fumi equini di via Plebiscito, dagli odori forti della fiera e della pescheria, presa di mira da cani randagi e gabbiani. Le “isole” felici che emergono sono il magnifico barocco con il Monastero dei benedettini, il castello Ursino, il teatro Bellini con il suo nume tutelare che si erge come Genius loci del vulcano che ha vomitato la nostra cangiante città. La pioggia di questi giorni ricorda tanto la lava distruttiva che l’ha più volte cancellata.

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A cosa stai lavorando? Pensi che la trilogia sia conchiusa oppure una quarta opera potrebbe farne una quadrilogia?

Cinque anni fa mi sono allontanato da Catania, adesso è venuto il momento di allontanarmene come scrittore. La trilogia è conclusa, quasi un commiato e un omaggio. Ho scritto un romanzo sull’amore, il lavoro più autentico e sincero che io abbia mai scritto, e non ho fretta di pubblicarlo.

 

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