IL CONTE DI RACALMUTO, di Vito Catalano. La nostra recensione

Le parrocchie di Regalpetra e Morte dell’inquisitore sono due romanzi di Sciascia in cui compare la figura del conte Girolamo II del Carretto. L’assassinio di questo nobile dalla fama di vilain avrà di certo scatenato la riflessione e la fantasia dello scrittore di Racalmuto, così come quella di Antonio Di Vita: giustiziere, sicario o…?

Con un azzardo che solo la comunanza del sangue può giustificare, Vito Catalano, nipote di Leonardo Sciascia, non nuovo alle incursioni letterarie (La Civetta di Minerva ha recensito già il suo “La notte della colpa” qui https://www.lacivettapress.it/2019/11/29/lo-scrittore-vito-catalano-e-l-impronta-genetica-di-sciascia/ ) dà alle stampe per gli storici e prestigiosi tipi di Vallecchi “Il conte di Racalmuto”.

Al di là delle polemiche scolastiche sia interne che social, non possiamo non notare la persistenza del modello manzoniano: Antonio Di Vita diviene un Renzo ribelle per amore della sua Lucia/ Nunzia, il monaco Evodio non può non evocare la coraggiosa figura di Fra’ Cristoforo, così come quella del famigerato conte richiama Don Rodrigo e le spagnolesche prepotenze, mafiose ante e ultra litteram, indagate dalla mente illuminista di Manzoni e Sciascia.

Non mancano gli onnipresenti sgherri del conte, che come i “bravi” di don Rodrigo seminano terrore e ferocia nelle terre vessate da Del Carretto, la cui bellissima moglie però non è una Lucia Mondella né una rassegnata vittima/ carnefice come la Monaca di Monza, ma una donna consapevole delle proprie arti seduttive oltre che della sua posizione sociale, che saprà dare una svolta al proprio destino… ma non anticipiamo troppo.

Interessante è il personaggio di Pietro D’Asaro, pittore che potremmo definire caravaggesco, “Monoculus Racalmutensis” perché dipingeva con l’unico occhio sano, la cui vita per certi versi misteriosa ben si attaglia alle vicende romanzesche che si intrecciano al “vero” storico del romanzo.

Nella lingua semplice e funzionale, scorrevole, diremmo referenziale, adottata da Catalano – a parte un certo innalzamento poetico del tono, specie nelle descrizioni naturali – affiorano termini che richiamano il dialetto siciliano come “scerpare”, ma non ci sono concessioni all’oleografia né ammiccamenti all’illustre nonno: il libro è un divertissement, per ammissione stessa dell’autore, anche se il mondo ricostruito dall’autore, né pacifico né pacificato, è tutt’altro che uno scenario di cartapesta ma è fatto di “sguardi abituati da secoli alla violenza, al sopruso e al silenzio”, che richiama l’eterna Sicilia in attesa di redenzione.

Ecco come ha risposto Vito Catalano alle nostre domande.

Come si è approcciato alla storia di Girolamo II del Carretto? Possiamo dire che anche lei, come Camilleri, non ha “testa di storico” ma di narratore?

Credo di avere una certa inclinazione al narrare, ma appunto al narrare con una cornice storica.

Come ha giocato tra storia e invenzione?

Sì, si può dire che costruendo il romanzo “Il conte di Racalmuto” davvero ho giocato. Ho intrecciato episodi e personaggi della mia immaginazione che mi è sembrato si combinassero bene con l’omicidio del conte nel 1622, che è un fatto avvenuto realmente, e con alcuni personaggi esistiti davvero. Mi sono divertito a progettare questa specie di puzzle. Nella postfazione al libro lei parla di recupero memoriale e della figura di Nicolò Patito, amico di suo nonno Leonardo: quanto è importante per lei ritrovare “pezzi” di storia familiare, locale, letteraria in chi ha conosciuto Sciascia? Ricordo ai lettori che il 17 gennaio 2021, all’età di 99 anni, è morto a Palermo il poeta e scrittore Stefano Vilardo, grande amico di Leonardo Sciascia che aveva conosciuto tra i banchi dell’istituto  magistrale di Caltanissetta – proprio nel centenario della nascita dello scrittore: 8 gennaio 1921.

Una parte del mio tempo è tuttora occupata (e lo è stata anche in passato) dalle conversazioni con testimoni della storia familiare. Con Stefano Vilardo ho parlato al telefono ancora alcuni giorni prima che morisse e negli ultimi anni andavo a trovarlo quando potevo, non solo per farmi raccontare episodi della giovinezza sua e di mio nonno, ma anche per ascoltare una voce familiare che mi riportava agli anni passati. Con Nicolò Patito, poi, ho trascorso moltissime ore della mia vita.

Quando abbiamo parlato de “La notte della colpa” ci ha rivelato di avere sia questo che un altro romanzo storico in cantiere… può anticiparci qualcosa?

Ci sarà sempre la Sicilia, luogo dove sono nato e dove mi sono formato. E ci saranno ancora una volta intrighi, avventure ed elementi romanzeschi, dai quali mi faccio coinvolgere ben volentieri sia come lettore sia come autore.

 

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