“Scrivere è l’infinito”, l’ultimo saggio di Mariano Sabatini per scoprire i segreti della scrittura

“La Civetta di Minerva” incontra ancora una volta Mariano Sabatini, giornalista e scrittore e non solo – oltre ad aver firmato come autore programmi di successo per varie e prestigiose reti nazionali è un commentatore spesso ospite dei più importanti salotti televisivi dove si distingue per l’acutezza e per una vena polemica scevra però dalla cattiveria –, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro di saggistica, “Scrivere è l’infinito – Metodi, rituali, manie dei grandi narratori!” edito dalla storica casa editrice fiorentina Vallecchi.

Sabatini, che oltre ad aver creato il personaggio di Leo Malinverno, protagonista dei suoi pluripremiati noir, ha sempre percorso la strada parallela, diremmo metanarrativa, della saggistica – parlare di scrittura è di per sé scrittura –, si inoltra nel mondo misterioso dell’ispirazione, nella foresta della narrazione (come non ripensare ai boschi narrativi di Eco?), nella giungla editoriale, per cercare di comprendere e svelare i segreti della scrittura, che comunque dipinge come mestiere, senza indulgere in romantiche speculazioni ma consigliando in maniera sincera a chi volesse intraprendere questo cammino “alto e silvestro”, direbbe padre Dante, di leggere e andare a bottega dei grandi narratori.

Scrivere, banalmente e grammaticalmente, è l’infinito del verbo scrivere, ma è l’infinito nel senso che ci sono tanti stili quanti sono gli autori, che la narrazione ammette infinite variazioni sui temi che Homo narrans tratta da millenni: finché esisterà la nostra specie, vivremo la vita per raccontarla, come direbbe “Gabo”, Gabriel García Márquez.

Esiste un metodo per scrivere? L’ispirazione può essere incoraggiata, blandita, alimentata con rituali e manie, quasi fosse un’antica divinità da scongiurare o una nevrosi da esorcizzare, una forza oscura da canalizzare? Come destreggiarsi tra personaggi e stile, ambientazione, tempo, incipit, explicit, titoli, tagli, “montaggio” del testo? E l’Italiano è una lingua per letterati o per narratori? Più che di arte potremmo parlare di artigianato e quindi quale migliore scuola che la lettura dei grandi narratori, quale migliore stimolo a scrivere che l’esplorazione dell’officina in cui quotidianamente lavora un autore?

Parliamone con Mariano Sabatini, che riporta l’esperienza di Camilleri, Carofiglio, De Giovanni, Macchiavelli, Simonetta Agnello Hornby, Lia Levi, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Margherita Oggero, Paolo Di Paolo, Vitali, Elda Lanza, Bevilacqua, P. D. James, Stephen King – per cui la “scrittura è sempre al suo meglio (sempre, sempre, sempre) se a metà tra gioco e ispirazione” – e tantissimi altri, che tentano di addomesticare la Musa con isolati silenzi opposti a musica e rumore, fogli volanti, blocchi di carta, penne, macchine da scrivere meccaniche o elettroniche versus computer, in studi ordinati e treni o aerei, la notte e di giorno, consumando cibi ordinari o comfort food… tra sensazioni e accensioni, ossessioni e passione, rivelazioni e blocchi, intuizione e visione, duro lavoro e sacrificio, folgorazioni e disciplina, frustrazione ed esaltazione.

A quali degli scrittori intervistati ti senti più vicino, affine?

Nel libro ci sono molti degli scrittori che stimo, ma per ragioni di tempi e di spazio non ci sono tutti. Molti altri ce ne sarebbero potuti essere… Per forza di cose, avendo io scritto soprattutto storie d’investigazione con protagonista un giornalista-detective, mi sento più vicino ai noiristi o simili. Ma ritengo che la scrittura sia uno strumento che si possa accordare in qualunque sinfonia. Detto in parole povere, se sai scrivere sai scrivere qualunque genere o non genere. Certo le storie “gialle” richiedono maggiore aderenza e concentrazione e capacità di far quadrare gli avvenimenti. Più difficili, se si vuole. Da lettore, perciò, prima che da scrittore mi sento affine a chi racconta storie coinvolgenti e ben scritte.

Credi nei rituali, nelle “magie”, nei trucchi allestiti dagli scrittori che hai intervistato?

Credo nel metodo personale, ciascuno deve trovare il proprio, magari lasciandosi confortare dalle ossessioni altrui. Per la serie, se lo fa de Giovanni… posso anche io! Se lo dice Maraini… Credo nella motivazione e nella determinazione che si possono indurre andando virtualmente “a bottega” da chi ce l’ha fatta.

Pensi che davvero un nostro gesto o un rito possano addomesticare il mistero selvaggio della scrittura?

Il rituale è una procedura ripetuta e rassicurante, in questo senso può sostenere nella lunga, a tratti estenuante, maratona che è la stesura di un romanzo. Scrivere è un lavoro faticoso, solitario, che tiene separati dal mondo reale, in una dimensione parallela, occorre dunque sostenersi in qualunque modo. Postura, generi di conforto, bestiole, musica, luce, buio… accorgimenti che possono aiutare a raggiungere la giusta concentrazione.

Immagina un possibile pubblico per il tuo libro: ci annovereresti anche gli studenti delle scuole di scrittura creativa, che ormai imperversano sovrane in rete e oltre?

“Scrivere è l’infinito” è una scuola di scrittura portatile, tascabile, perché contiene le esperienze narrative di veri campioni della tastiera. Ma quando mai una scuola di scrittura annovera nomi del genere?

Ritieni formative le scuole di scrittura?

In tutta la mia vita ho sempre rifuggito scuole e insegnanti. Ma per un mio problema personale con l’autorità. Non ho frequentato scuole di scrittura, né giornalistiche né di narrazione, ma ho avuto la fortuna di apprendere sul campo. Quando facevo Tv ho goduto del privilegio di avere un maestro come Luciano Rispoli, per i romanzi ho imparato da Elda Lanza, che mi faceva leggere i suoi romanzi ancora solo dattiloscritti. La cosa migliore è leggere, tanto, di tutto, farsi pervadere dal gusto del racconto. E poi buttarsi. Le scuole possono servire, a chi è lontano da un certo mondo, a conoscere i professionisti, che poi potranno aiutarti.

Una domanda da massimi sistemi: in un mondo che va così in fretta come il nostro, quale futuro ha la scrittura “lenta”? (sono convinta che la scrittura “veloce”, quella per il web e la tv, abbia un certo vantaggio rispetto alla scrittura “lenta” di romanzi, saggi e, peggio ancora, poesie. Una scrittura a gratificazione differita, sia per chi scrive che per i fruitori, i lettori. Mi sa che brevetterò queste definizioni di fast/ slow writing, hai visto mai). Vorrei sapere il tuo parere, visto che le pratichi entrambe.

La forma romanzo non scomparirà mai, la fascinazione della narrazione ha accompagnato la storia dell’evoluzione umana. Sono convinto che anche nelle caverne si raccontassero storie per resistere alla paura. Leggere, più che scrivere, distrae dagli orrori di ogni giorno e se ci si distrae abbastanza a lungo certi orrori si diluiscono fino a sparire. Ecco perché scrittori e lettori dovrebbero mantenere vivo e rinnovare un patto di mutuo sostegno. Spero di aver risposto. Chi scrive romanzi è come se mettesse messaggi in bottiglia e li affidasse al mare. Non sai mai come e dove e a chi questi messaggi arriveranno. Per questo io metto sempre l’indirizzo e-mail nei miei libri, chiedendo le impressioni dei lettori. E devo dire che spesso rimango stupito dalla gratitudine e dall’affetto che mi tornano indietro.

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